“Oggi più che mai è importante partire dalla valutazione delle persone che guidano una banca. Quando si consolidano posizioni di dominio assoluto aumenta il rischio che si sfrutti la propria intoccabilità per abusi e favoritismi. Questo può portare in un arco di tempo più o meno breve a situazioni di dissesto”. Quando il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha pronunciato queste e altre inusuali parole a braccio, alla fine delle recenti Considerazioni finali, l’ennesima corsa contro il tempo per il salvataggio della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca era già cominciata. Gli amministratori delegati di UniCredit, Jean Pierre Mustier, e di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, sono stati ricevuti da Visco nel pomeriggio del 31 maggio. Nelle prossime ore, secondo le indiscrezioni più febbrili, sarebbero attesi a Palazzo Chigi dal premier Paolo Gentiloni e dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Un intervento di sistema – forse definitivo nelle aspettative – sta prendendo forma per mettere in sicurezza le due Popolari del Nordest.
“Abbiamo avuto conferma che le crisi bancarie vanno risolte prima possibile. Lasciare che si trascinino per mesi, per anni è deleterio perché con il passare del tempo cambiano le regole, cambiano le persone, cambia la congiuntura, cambia il mercato bancario”, ha detto Visco. Appena otto giorni dopo, in Spagna, il Santander ha salvato il Banco Popular in una notte. Se la crisi conclamata di Mps dura da almeno quattro anni, le Popolari venete sono in sofferenza da almeno venti mesi. E il campanello d’allarme definitivo lo ha fatto risuonare la Procura di Vicenza, che nel settembre 2015 ha messo sotto inchiesta l’ormai ex presidente Gianni Zonin per ostacolo alla vigilanza e aggiotaggio (non per reati connessi al dissesto della banca).
Da allora nella Vicenza sono stati iniettati 2,5 miliardi da Atlante (il fondo d’emergenza salva-credito finanziato da banche e Fondazioni) e il nuovo amministratore delegato Fabrizio Viola si è messo al lavoro per ristrutturare assieme la Vicenza con Veneto e preparare un salvataggio pubblico stimato in 6,5 miliardi sotto la vigilanza occhiuta della Bce. Ma da allora l’inchiesta su Zonin – e altri membri del vecchio vertice – non ha fatto passi avanti. Proprio negli ultimi giorni, anzi, si è appreso che un ultima fase di stallo e silenzio – a palazzo di giustizia – è legato a conflitti procedurali fra magistrati, mentre Zonin è riuscito a tenersi finora al riparo anche di semplici azioni cautelative sul suo patrimonio. Un po’ troppo perché sui media non riprendesse un gioco di sussurri e grida sulla vera o presunta “intoccabilità” giudiziaria dell’ex banchiere vicentino. Una situazione che sembra comunque fare il paio con quella di Pierluigi Boschi, ex vicepresidente di Banca Etruria, risolta nel novembre 2015 ed essa stessa oggetto di indagini lente, caute da parte della Procura di Arezzo.
Non così è stato invece per Vincenzo Consoli, ex amministratore delegato di Veneto Banca, a lungo agli arresti domiciliari su ordine della Procura di Roma. O per Giorgio Berneschi, l’ex amministratore delegato di Carige, già condannato nel febbraio scorso a oltre otto anni di carcere per il crac della Cassa genovese. Ma una “toccabilità” oggettivamente diversa per diversi banchieri sta mettendo alla prova lo stesso Viola o il suo ex presidente Alessandro Profumo (oggi Ad Finmeccanica): in teoria manager-cavalieri bianchi di Mps, oggi in pratica inquisiti a Milano forse com più durezza di quanto a Siena abbiano indagato e perseguito i responsabili del disastro a Rocca Salimbeni.