Erano parte di un invito rivolto alle imprese associate per partecipare alle Assise Generali 2011 di Confindustria, ma le parole della presidente Emma Marcegaglia “Mai come in questi momenti gli imprenditori si sentono soli” sono inevitabilmente diventate tema da prima pagina dei quotidiani italiani. Ilsussidiario.net ha intervistato due esperti giornalisti economici come Ugo Bertone e Nicola Porro per capire meglio il senso delle dichiarazioni rese pubbliche domenica attraverso un videomessaggio dal leader degli industriali italiani.
«Guardando la produttività del nostro Parlamento, c’è da dire che non sono solo le imprese a doversi sentire sole. Si tratta in ogni caso di capire se è meglio essere soli o male accompagnati», spiega Ugo Bertone, che subito chiarisce: «Basta considerare l’esempio del Belgio, che è un Paese senza Governo da 300 giorni, ma in cui le istituzioni funzionano, la pubblica amministrazione fa il suo dovere, il sistema delle relazioni industriali e il quadro di riferimento dell’economia, stimolato dalla forza tedesca, funzionano. Dunque, l’assenza di un governo, in un Paese fortemente indebitato (il Belgio lo è quasi come l’Italia) non è poi l’Apocalisse. In Italia, del resto, siamo riusciti ad avere conti brillanti, nonostante le pessime premesse, in un anno di produzione legislativa minima».
«Che il Governo abbia una politica economica non così favorevole alle imprese – aggiunge Porro – è fuor di dubbio, e questa situazione c’è dal primo giorno del suo insediamento, non è una scoperta di oggi. È strano che Emma Marcegaglia si accorga che le imprese sono lasciate sole dopo tre anni di guida di Confindustria, i primi due dei quali passati a parlare molto bene di questo esecutivo. Mi sembra quindi che si tratti di un’accusa da “campagna elettorale”, perché ha la necessità di lasciare un segno in Confindustria, dato che fino adesso la sua gestione è stata disastrosa».
Bertone, dal canto suo, va oltre la “campagna elettorale”, spiegando che «l’unica domanda “piccante” della vicenda è capire se Viale dell’Astronomia stia cercando di smarcarsi da Silvio Berlusconi per prepararsi a qualche inversione di tendenza “terzopolista”, magari recuperando la centralità di Luca Cordero di Montezemolo. Tant’è che stamani (ieri, ndr) Repubblica ha, oltre alla versione ufficiale, descritto in un articolo ciò che la Marcegaglia avrebbe detto off-the-record negli incontri a porte chiuse di Confindustria».
Per quanto abbia fatto o non fatto il Governo, la Marcegaglia ha detto ai suoi colleghi imprenditori che “non è il momento di scaricare sugli altri le colpe”. Il problema, spiega però Porro, «è capire se Confindustria, a prescindere da Emma Marcegaglia, rappresenti i grandi colossi o le piccole imprese. Infatti, quest’ultime sono anni che, nonostante questo governo e la crisi economica, riescono ad andare avanti, rimboccandosi le maniche, esportando, ristrutturandosi, cercando di trovare collaboratori migliori, investendo molto nella ricerca e nell’innovazione di prodotto. Ci sono, invece, altre imprese, quelle grandi in particolare, che hanno pensato che lo Stato elargisse risorse come nel passato, attraverso i soldi dei contribuenti. Ma questo non è avvenuto».
Ma di che cosa hanno bisogno le imprese per non sentirsi “abbandonate” e cosa si può fare per sostenere quelle che fino a oggi si sono date da fare e sono riuscite a sopravvivere? «Se dovessi dire cosa vorrebbero le Pmi “meritevoli” di cui ho parlato prima – risponde Porro -, credo che, come tutte le persone che lavorano seriamente, vogliano in primis pagare un po’ meno tasse, visto il loro alto livello in Italia. E questo Governo certamente non le ha ridotte, anzi per le imprese lo ho fatto Prodi. Basterebbe anche un altro segnale molto semplice: far versare l’Iva nel momento in cui viene incassata. Oggi, infatti, le aziende devono pagarla anche quando le loro fatture restano inevase. E per chi non ha grossi fondi in banca a disposizione non è certo il massimo. Credo che poi vogliano un miglioramento nella burocrazia (e su questo c’è stato uno sforzo di Brunetta) e nelle infrastrutture (in questo caso occorrerà più tempo per vedere i risultati di quel che il Governo si è impegnato a fare)». E lo Statuto delle imprese, approvato a fine marzo all’unanimità dalla Camera? «È una legge perfetta – spiega il vicedirettore de Il Giornale – perché aiuta soprattutto le piccole imprese e stabilisce un principio sacrosanto: la proporzionalità degli adempimenti in base alle dimensioni. Ciò vuol dire che non si potrà pretendere da un’impresa di pochi dipendenti quello che viene chiesto a una multinazionale da migliaia di impiegati». In sintesi, «il Governo si deve impegnare per meno tasse e regole per le imprese. Anche per quel che riguarda la revisione dell’articolo 41 della Costituzione non si è visto nulla dopo l’annuncio del Consiglio dei ministri del 9 febbraio».
Pur ammettendo che questa riforma sarebbe positiva, «così come i controlli a posteriori anziché le pratiche ex ante», Bertone si chiede «se c’è poi tanto bisogno di questo tipo di politica industriale. Ci sono anche dei grandi progetti di sistema, come la banda larga, che non decollano, ma forse è perché non ne abbiamo la forza e sarebbe quindi meglio procedere con dimensioni diverse, magari cablando solo alcune zone. Sinceramente, non vedo la necessità di una grande politica industriale che poi in assenza di risorse non riusciamo a realizzare. Certo, ci vorrebbe un pochino di coraggio sulla scelta fiscale, ma sarebbe bene imparare in proposito un’altra lezione dal Belgio: una parte del risanamento dei suoi conti è dovuta alla maggior produttività e alla crescita economica legata al traino della Germania; l’altro pilastro è stato la cancellazione di tutte le detrazioni fiscali a vantaggio delle imprese. In pratica, hanno spostato la fiscalità dalle persone alle cose agendo sull’Iva e hanno sgravato le imprese da aliquote molto alte, ma per fare questo hanno anche abolito tutto quell’armamentario di agevolazioni e detrazioni che da noi è impropriamente definito politica industriale, che puntualmente si trasforma in un assalto alla diligenza, volutamente a vantaggio dei più furbi».
Dunque riforme, cambiamenti, anche se a quanto pare pure questi rischiano di creare solitudine. L’amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, commentando proprio le parole di Emma Marcegaglia ieri ha detto infatti che a Pomigliano e Mirafiori (simboli di una svolta nelle relazioni industriali) “siamo stati lasciati soli”. «Lasciati soli da Confindustria», aggiunge Porro. «Le dico la verità: sono molto critico rispetto ad alcune operazioni di politica economica di questo Governo, ma se c’è una cosa importante che ha fatto, grazie soprattutto a Sacconi e Berlusconi, è permettere che si tenesse il referendum a Mirafiori, così come quello di Pomigliano. Si immagini cosa avrebbe fatto qualsiasi altro Governo, con tutta la pressione che c’era da una parte dei media e della società civile, da un certo sindacato e da tutti quelli che pensavano che si trattasse di un ricatto del manager canadese. Questo è stato un “fare”, non un “non fare”. Penso che in quella specifica vicenda il Governo si sia comportato molto bene e penso che la battuta di Marchionne sia più riferibile a quel che non ha fatto Confindustria rispetto a quello che ha fatto l’esecutivo».
Bertone, invece, ammette che Marchionne «ha probabilmente qualche ragione psicologica o emotiva per aver detto quello che ha detto; poi c’è anche il prezzo delle scelte giustamente fatte: se uno rinuncia ai contributi dello Stato, ma non accetta di andare incontro a quelle che sono le esigenze politiche e dell’industria non si può lamentare se viene lasciato solo». Anche se, aggiunge Bertone, «il trattamento che ha ricevuto sulla vicenda delle sue stock options è stato decisamente una cosa ignobile che non ho visto usare con nessun altro manager al mondo». E non va poi dimenticato il fatto che «in questo sistema bislacco, un certo sindacato fa la guerra alla Fiat, mentre accetta turni notturni in qualunque impresa sotto i 50 dipendenti. Poi nei convegni ci si lamenta perché le aziende sono troppo piccole, cosa che grava pesantemente sulla produttività del sistema in quanto è suo il primo handicap, ma appena un’azienda cresce oltre una certa dimensione, o addirittura è la Fiat, diventa un simbolo da abbattere». Altro che sentirsi soli: in certi casi per le imprese sarebbe bene riuscire a fare in pace il proprio lavoro.
(Lorenzo Torrisi)