Interrogarsi sul divario tra le dichiarazioni governative e programmatiche e le realizzazioni della classe politica è un esercizio antico quanto la politologia. In Italia ci si esercita ora sull’incapacità implementativa di quest’ultimo governo Berlusconi, su cui Giorgio Vittadini in primis e a seguire Angelo Panebianco e Stefano Folli hanno scritto pagine illuminanti.
Da parte mia voglio attirare l’attenzione sul fatto che siamo dinanzi a un processo tipico delle classi politiche dell’Europa del Sud, ossia di un bonapartismo senza Napoleone III. Mi spiego: nell’Europa del Sud storicamente la scarsa legittimazione dello stato è sempre stata sostituita da partiti pervasivi sul piano dell’acquisizione di risorse e non autonomi dalla società civile. Un caso tipico di scarsa istituzionalizzazione della politica in cui la forma partito supplisce alla debolezza della forma stato in guisa di un clientelismo diffuso e quindi di un gonfiamento della spesa pubblica.
Berlusconi si presenta come l’alternativa a tutto ciò, ma ormai da molti anni ha cessato di essere un’alternativa efficace. E questo perché, con lui, la verticalizzazione del potere è plebiscitaria e non è in grado di realizzare la ricostruzione di una forma partito in grado sia di ridefinire se stessa come istituzione libera da particolarismi personalistici sia di riformare lo stato, come è tipico dell’Europa del Sud.
È vero, come dice Panebianco, che l’entropia istituzionale blocca ogni progetto riformatore. È vero, come dice Folli, che manca una chiara strategia. Ma la ragione di tutto ciò sta nel fatto che Berlusconi non è Luigi Napoleone e che il partito, o i partiti, che egli dovrebbe essere in grado di aggregare altro non sono che confliggenti e spesso contrapposti grumi di potere economico-politico-territoriali che a quella verticalità del potere sempre si contrappongono.
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Questo spiega due cose: la prima perché ogni progetto di trasformazione liberale sussidiario viene bloccato sul piano nazionale, la seconda perché la sussidiarietà e un inzio di processo di liberalizzazione si sia effettuato solo nel Nord Italia, in primis, non a caso, in Lombardia.
E questo perchè Mediolanum e le altre terre di mezzo non sono Europa del Sud come apparirebbe chiaro se si dovesse mai realizzare il federalismo fiscale che beneficamente instaurerebbe tendenze centrifughe che avrebbero come raccordo istituzionale ormai solo più l’Europa che l’italico stato.
Si tratta dunque di un fenomeno molto più generale di quanto non si creda, di cui tanto il passato governo Prodi quanto ora il governo Berlusconi sono una cangiante manifestazione, anche se fanno riferimento a magmatici poteri visibili e invisibili tanto contrapposti quanto opportunisticamente e trasformisticamente mescolantisi.
Sottolineo, per inciso, che entrambi i casi di questi due diversi poteri clientelari si sono rivelati deboli allorchè via via iniziavano a perdere la loro caratteristica costitutiva: aggregare personale politico e risorse economiche per convogliarle nella verticalizzazione populistica. Quando questa capacità aggregativa dimuinuisce, la crisi politica può farsi drammatica.
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Naturalmente tutto ciò disvela, nel bel mezzo di una profondissima crisi economica mondiale e nella bassissima crescita economica italiana, una crisi della partecipazione politica elettorale quale mai si è vista prima.
Le preoccupazioni di Giorgio Vittadini sono le preoccupazioni ormai di una gran parte degli abitanti dello stivale, i quali si rivolgono più all’astensionismo che alla partecipazione elettorale. Fenomeno, questo, universale nei casi di verticalizzazione del potere a bassa implementazione istituzionale e quindi a bassissimo rendimento o plusvalore politico. Inoltre non tutti possono traferirsi in Lombardia.