A dieci giorni dalle elezioni regionali, che avevano ormai assunto il significato di voto politico di medio termine nei confronti del governo, il Paese si ritrova all’interno di un nuovo capitolo nell’infinita saga delle intercettazioni telefoniche. Non era bastato il clamoroso “caos liste” e il conseguente rischio di esclusioni eccellenti a infiammare gli animi e a distogliere l’attenzione da programmi e candidati. Con le anticipazioni de Il Fatto Quotidiano, infatti, ritroviamo sul banco degli imputati il premier Silvio Berlusconi e il direttore del Tg1, Augusto Minzolini.
Secondo l’opposizione più dura i dialoghi fra i due sarebbero la prova finale dell’esistenza di un regime. Di Pietro chiede l’allontanamento “a pedate” del direttore dalla Rai, l’opposizione insorge, ma da sinistra c’è anche chi scrive: «Se i giudici hanno il diritto di spiare i rappresentanti del popolo, e poi eventualmente di ricattarli o colpirli costruendo ad arte scandali politici, siamo già largamente oltre la linea di demarcazione tra democrazia e regime autoritario». La firma è quella di Piero Sansonetti, direttore de Gli Altri, che ha accettato di discuterne con IlSussidiario.net.
Che idea si è fatto di questa inchiesta della procura di Trani?
Intanto devo dire che non andando matto per le intercettazioni non le ho lette tutte, ma buona parte. Abbastanza, comunque, per notare qualche forzatura giornalistica.
Cosa intende?
Se Berlusconi dice a Minzolini che la trasmissione di Santoro “non si può vedere”, facile che poi esca sui giornali il diktat “chiudete quella trasmissione!”, così però non si fa un buon servizio ai lettori. La mia, comunque, è solo una precisazione. Le intercettazioni ci mostrano le pressioni dei politici sui giornalisti e questa non è certo una novità. In Italia è la norma, non facciamo finta di scoprirlo oggi.
Ha ragione quindi chi sostiene che sia sempre stato così, al di là del colore politico?
Avendo fatto il direttore di Liberazione e il condirettore de L’Unità ne so qualcosa. Ricevevo le pressioni di ministri, segretari di partito e presidenti del Consiglio…
Ma non è più grave se a subirle è il direttore del Tg1 e non quello di un giornale di partito?
Guardi, il direttore del Tg1 è quello che storicamente subisce più pressioni di tutti. Dopo di lui tocca ai colleghi del Tg2, del Tg3, arrivando poi al Corriere della sera, a La Repubblica, scendendo fino ai più piccoli. Intendiamoci, l’abitudine del ceto politico di voler influenzare la stampa non mi piace, penso che i giornalisti dovrebbero impegnarsi per correggerla, ma questa volta siamo davanti a qualcosa di diverso. Stiamo parlando di intercettazioni telefoniche ai danni di un Primo Ministro, un fatto gravissimo, ancor più grave se questi documenti vengano consegnati a un giornale. Purtroppo però pare che non si indigni più nessuno.
Lei ha paragonato questa storia al caso Sifar. Come mai?
Parliamo di tempi eroici, quando l’Espresso di Scalfari e Jannuzzi nel ’68 scoprì che alcuni carabinieri intercettavano i politici e usavano quel materiale per ricattarli. Oggi vengono usati gli stessi mezzi, ma il fine è la lotta politica.
Questa inchiesta però non nasce, a quanto sembra, per colpire il Presidente del Consiglio. L’indagine sarebbe nata per seguire strani movimenti di carte di credito e accertare eventuali reati di usura. Il controllo del telefono di Minzolini avrebbe poi coinvolto accidentalmente il premier…
Personalmente non credo a questa spiegazione. Quella delle carte di credito è una scusa per coprire un atto illegale. Non dimentichiamoci che non si può intercettare un deputato senza motivazioni e autorizzazioni, soprattutto se si tratta del Presidente del Consiglio.
Cosa c’è dietro allora? a chi giova uno scandalo di questo tipo alla vigilia delle elezioni?
Proprio perché non è stato scoperto niente di clamoroso questa vicenda finirà per avvantaggiare lo stesso Berlusconi. Secondo me è un clamoroso autogol in cui sono incappati i giustizialisti di sinistra, ma non sarebbe la prima volta.
Come si concluderà questa storia?
Dal punto di vista politico stringerà ancor di più l’opinione pubblica di centrodestra attorno al suo leader, dal punto di vista giudiziario finirà tutto in una bolla di sapone, lasciando però l’ennesima ferita alla nostra democrazia.
Come si è comportato il centrosinistra secondo lei?
La sinistra liberale ha la colpa di non aver fatto sentire la sua voce contro lo spionaggio nei confronti della politica. Se, grazie al bipolarismo, l’alleanza con di Di Pietro e Travaglio è inevitabile, e in un certo senso giusta, è ancora più indispensabile una sinistra garantista e liberale che faccia il suo lavoro.
I ripetuti attacchi che la sinistra riserva a Minzolini sono sbagliati?
Al di là di questa vicenda, spesso ho trovati pessimi i suoi tanto criticati editoriali, ma l’idea che il direttore di un giornale non abbia il diritto di farli mi agghiaccia. Senza questa libertà è meglio che cerchi un altro mestiere, ma questo la sinistra sembra proprio non capirlo.
Secondo lei a forza di urlare al regime corriamo il rischio di finire in un autoritarismo di segno opposto?
Il fatto positivo, in questi tempi drammatici, è l’evidenza che non c’è alcun rischio regime. Ci troviamo davanti alla lotta senza quartiere tra potere esecutivo e potere giudiziario, che di per sé esclude questa ipotesi. Detto questo, vedo il rischio che la nostra società scivoli verso l’autoritarismo. Stiamo infatti assumendo la limitazione della libertà come un fatto ordinario.
Davanti a questa situazione quali sono, secondo lei, le responsabilità della politica?
La politica è la lotta tra visioni diverse di società. Per farla servono idee e ipotesi per realizzarle. Se invece, come sta accadendo, conta solo schierarsi in un fronte e alzare la bandierina, la politica muore. Se si riduce la politica a un fatto agonistico e, per eliminare l’avversario, si rinuncia ai propri principi a me non interessa più.
Per questo mi auguro che chi non ha più idee smetta di fare politica e si dedichi ad altro.
(Carlo Melato)