«I punti chiave proposti da Renzi per il patto di governo potrebbero andare bene in astratto, ma non tengono conto delle reali condizioni politiche e dei rapporti di forza tra l’Italia e l’Ue». È l’osservazione di Guido Gentili, ex direttore ed editorialista de Il Sole 24 Ore, dopo che le prime indiscrezioni hanno fatto emergere che il nuovo patto dei partiti di maggioranza si baserà su tre idee qualificanti: la riforma elettorale, il Job Act e una rinegoziazione con l’Europa del vincolo del 3% nel rapporto deficit/Pil. Per Gentili, però, «i principali sindacati hanno idee molto diverse sul modo in cui deve essere attuata la riforma del lavoro, e all’interno dello stesso Pd c’è un’ampia fetta di parlamentari che non sono d’accordo con Renzi».
Gentili, partiamo dall’allentamento del rapporto deficit/Pil del 3%. La ritiene un’idea innovativa?
Questa proposta non è nuova nella visione di Renzi, in quanto era un capitolo del programma “Cambia Italia” in occasione delle Primarie del Pd. Il documento precisava che il limite del 3% nel rapporto deficit/Pil era un sistema anacronistico, riprendendo un filone di pensiero che risale quantomeno al 2002, quando Prodi definì il patto di stabilità “stupido ma utile”.
Secondo lei, la proposta di Renzi sul vincolo del 3% può funzionare?
Attualmente la Commissione Ue è su una posizione molto critica per quanto riguarda i conti pubblici italiani, come abbiamo saputo subito dopo il varo della legge di stabilità. A febbraio ci sarà una verifica della Commissione Ue su debito e deficit. Prima il governo Monti e poi il governo Letta hanno sempre confermato il rispetto del vincolo del 3%, come ha ribadito lunedì anche il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, nel corso di un’intervista a Repubblica. Riaprire oggi la questione come se fosse possibile cambiare tutto già a partire da domani mi sembra una scelta assolutamente improponibile.
Con il governo Letta l’Italia non gode di un atteggiamento più benevolo da parte dell’Europa?
Temo che non sia così. Lunedì su La Stampa è uscito un articolo a doppia firma di due commissari Ue, Olli Rehn e Viviane Reding, sull’atteggiamento della Commissione europea in questa fase. Paesi come la Spagna, il Portogallo e l’Irlanda sono citati come esempi di strada virtuosa intrapresa per quanto riguarda le politiche economiche adottate. Questi tre paesi hanno dunque ottenuto un “premio” nonché l’apprezzamento dei commissari Rehn e Reding, eppure l’Italia non è neanche citata. Nonostante i progressi tanto sbandierati sullo spread, il nostro Paese non risulta tra i paesi virtuosi secondo i parametri della Commissione Ue.
Eppure con le riforme la competitività del nostro Paese migliorerebbe anche senza austerity…
Le riforme strutturali di cui ha bisogno questo Paese non produrranno effetti benefici nell’arco di poche settimane. Lo scambio tra riforme e allentamento dei vincoli sul deficit è semmai un discorso futuribile, ammesso che questo “do ut des” sia possibile. Lo stato dei rapporti al momento però non lo consente, anche per le perplessità che la Commissione Ue ha sulla manovra italiana.
Che cosa ne pensa del Job Act proposto da Renzi?
Lo ritengo piuttosto una copertina dei problemi del lavoro piuttosto che una loro soluzione. Non si può non essere d’accordo con il segretario del Pd sul fatto che il sistema degli ammortizzatori sociali vada riformato. Poi però bisognerà entrare nel merito dei problemi, rispetto a cui ci sono idee diverse all’interno dei partiti, tra gli stessi giuslavoristi e nei sindacati.
In che cosa differisce la posizione dei sindacati?
Ieri il segretario della Cgil, Susanna Camusso, ha parlato della necessità di una maggiore tutela per tutti, compresi i precari. Raffaele Bonanni, segretario della Cisl, ha invece aperto la porta all’ipotesi del contratto unico. È un percorso ancora da definire nei dettagli, e quando si arriva a questo punto i dettagli sono molto importanti. Renzi ha fatto bene a porre il problema della necessità di una riforma del lavoro. Da un punto di vista politico però tutto ciò va tradotto in qualcosa che vada al di là di un manifesto. Bisogna quindi confrontarsi con le idee diverse che ci sono anche nello stesso Pd di Renzi.
Ritiene che la spending review debba passare anche da una ridefinizione delle pensioni?
Non si può continuamente accrescere il grado di incertezza da parte dei cittadini. La riforma Fornero del 2011 ha alzato l’età pensionabile in modo coerente, e andare a ridiscutere oggi un nuovo assetto delle pensioni mentre non è ancora chiaro ciò che si vuole fare sul fronte del lavoro mi sembra un’operazione acrobatica.
(Pietro Vernizzi)