Da giorni la questione Alitalia è passata in secondo piano nell’agenda politica ed economica del Paese. Se da una parte ciò è scontato rispetto ai fatti che stanno sconvolgendo l’economia e la finanza a livello mondiale e alle vicende italiane relative alla scuola, dall’altra sembra quasi che si voglia mettere sotto silenzio una vicenda, quella Alitalia/Cai, che non è ancora terminata e che probabilmente vedrà ancora momenti e fasi di forte tensione.
Per analizzare al meglio la situazione è bene dividere l’analisi in due principali filoni, quello prettamente sindacale e quello industriale.
Per quanto riguarda il confronto in corso tra Cai e le organizzazioni sindacali c’è da sottolineare che una reale trattativa non è mai iniziata. La delegazione aziendale, auto-definitasi “tecnica”, ha presentato le proprie proposte senza però concretamente trattare e il sindacato non ha potuto far altro che ascoltare.
Un “confronto” quindi a senso unico che non ha prodotto sino ad ora alcuna definizione comune dei temi in discussione.
Il “confronto tecnico”, afferma poi Cai, sarà seguito da un “tavolo politico” di cui non conosciamo assolutamente tempi e modalità.
Cai non sta rispettando neanche quanto sottoscritto a Palazzo Chigi e che prevedeva che le questioni contrattuali concordate in quella sede si sarebbero innestate sul contratto di lavoro AirOne. Cai invece, oltre a non voler prendere in considerazione una serie di osservazioni sindacali che renderebbero più attuabile dal punto di vista operativo e gestionale quanto sottoscritto a Palazzo Chigi, stravolge il senso degli accordi e propone una sua “libera interpretazione” che peggiora le condizioni salariali, l’organizzazione del lavoro e i criteri di assunzione anche rispetto al contratto di lavoro AirOne. Tra l’altro tale ipotesi produrrebbe discriminazioni inaccettabili nei criteri di assunzione e anche una situazione di ingestibilità aziendale del personale. Si tratta quindi di una conduzione Cai del confronto assolutamente inaccettabile che potrebbe rimettere tutto in discussione.
A parte “l’ingordigia” aziendale che traspare dalla trattativa, è evidente l’incapacità del condurre un confronto in un settore che Cai non conosce e che ritiene probabilmente simile a qualsiasi altra industria italiana, ignorando, consapevolmente o meno, che il trasporto aereo è un’attività produttiva che deve tener conto di numerose e variegate variabili, tutte legate tra loro a filo doppio, di carattere operativo, gestionale e industriale.
Questa situazione sta portando a una situazione di estrema tensione nelle relazioni sindacali e soprattutto tra i lavoratori ed è possibile che nelle prossime ore ciò produca un’ulteriore e forse imprevedibile reazione.
Si tratta di capire se i lavoratori, sino a oggi colpiti da una campagna denigratoria degna di altri tempi, siano considerati, sia perché individui dotati di dignità, sia perché operano in un settore nel quale il contatto con il pubblico è di fondamentale importanza per il successo dell’impresa, soggetti da valorizzare o se invece rappresentino soltanto “merce di scambio” come sembra emergere sino ad ora.
Dal punto di vista più generale la situazione sembra ancor più incerta e delicata. Provo ad elencare soltanto alcuni degli elementi che necessiterebbero di risposte chiare e che invece rappresentano ancora dei pericolosi punti interrogativi.
A pochi giorni dalla presentazione dell’offerta vincolante da parte di Cai per gli asset Alitalia, non si conosce il loro reale valore che dovrebbe essere fissato dal commissario straordinario Fantozzi.
Esiste un’oggettiva difficoltà finanziaria in quanto il costo di tali asset, se sommato a quello relativo all’acquisizione di AirOne, alla necessità di cassa per assicurare l’avvio della nuova azienda, all’indispensabile liquidità prevista dalle normative Enac ed europee e agli investimenti necessari per la flotta, riduce il famoso “miliardo” quasi a zero.
Tale tesi si potrebbe confutare con l’affermazione che la nuova azienda nasce senza debiti e che alle necessità economiche suddette si farebbe fronte con il ricorso al credito. Verissimo, ma la situazione generale non è certo delle più rosee da questo punto di vista e comunque si rischierebbe di costruire immediatamente un “castello di carta” che in pochi mesi si ritroverebbe indebitato in modo eccessivo, senza aver ancora raggiunto un punto di equilibrio economico.
In questo contesto l’accordo con un grande vettore straniero, considerato sino ad oggi da Cai un’opportunità da prendere in esame senza eccessiva urgenza, diventa necessità primaria sia dal punto di vista finanziario, sia anche rispetto all’indispensabile apporto di conoscenze e di reale programmazione e gestione industriale e commerciale del prodotto che Cai dovrebbe offrire. È infatti ormai evidente che la “nuova Alitalia” non dispone certo delle conoscenze per affrontare una sfida di questo tipo e neppure è pensabile che ci si affidi a quel che resta di una dirigenza, quella della “vecchia Alitalia”, che è la prima responsabile del disastro finanziario e industriale della compagnia di bandiera.
Esistono poi una serie di fortissime perplessità rispetto a procedure di carattere formale sia in ambito europeo, sia nazionale, che non possono essere sottovalutate. Certificazioni, slot e tanti altri elementi di carattere tecnico che impediscono od ostacolano una rapida conclusione della vicenda.
Anche le questioni relative all’Alitalia che rimarrà, non si sa per quanto tempo, sotto la gestione commissariale, non sono del tutto chiare e necessitano di una comprensione, anche dal punto di vista sindacale e dei lavoratori, che devono essere “svelate” prima e non dopo la cessione a Cai.
Come SdL intercategoriale alcuni giorni fa abbiamo proposto un’opzione che potrebbe andare nella direzione di una più razionale soluzione all’intera vicenda e che costituirebbe una ipotesi di rilancio concreto e certo dell’intero trasporto aereo italiano.
Perché non pensare a una composizione societaria diversa dall’attuale che possa prevedere una maggiore capitalizzazione (tre volte quella attuale) con un 40% al partner straniero (che sembra disponibile ad acquisire ben più del 10-20% di cui si parla e che assumerebbe anche la gestione operativa e commerciale della compagnia aerea), un 30% agli attuali soci privati e un 30% al pubblico (Stato + eventuali enti locali)?
In questo modo, oltre ad assicurare una ricapitalizzazione di 3 miliardi, adeguata alle necessità di avvio, rilancio e sviluppo della compagnia aerea (e conseguentemente dell’intero trasporto aereo italiano), con la concreta entrata in gioco del partner straniero si renderebbe effettivamente efficiente l’azienda dal punto di vista industriale e si amplierebbe la rete commerciale e operativa.
Inoltre, con il permanere del pubblico nel capitale, come avviene in moltissime compagnie aeree europee, si assicurerebbe un effettivo monitoraggio sugli interessi nazionali in un settore strategico e con il mantenimento di soci privati italiani si svilupperebbero una serie di relazioni positive tra i diversi settori produttivi del Paese.
Inoltre le casse dello Stato ne risentirebbero meno che non con le conseguenze che deriverebbero dall’attuale progetto.
Nulla di velleitario o di stravolgente: non si tratta di aiuti di Stato. È ciò che accade da sempre in Europa nel trasporto aereo e in moltissimi altri settori produttivi e che in questi ultimi giorni non vede più il veto pregiudiziale di politici e governi di tutto il mondo.
Si tratta soltanto di comprendere se questa vicenda deve essere considerata come un investimento alla “mordi e fuggi” oppure se vuole assumere realmente le caratteristiche di un progetto industriale.