Il deputato Alfredo D’Attorre è un giovane signor riformista, che ha comunicato la sua decisione di uscire dal Partito democratico di Matteo Renzi insieme ad altri suoi colleghi. L’obiettivo è quello di “Ricostruire la sinistra” come è spiegato in un documento, con un sottotitolo che aggiunge quasi una parola d’ordine: “Per il lavoro e per l’Italia”. I firmatari sono Alfredo D’Attorre, appunto, Stefano Fassina, Vincenzo Folino, Carlo Galli, Monica Gregori, Corradino Mineo. La causa è che Renzi la sinistra se la è completamente dimenticata. Non fa molti giri di parole, è invece molto chiaro e preciso D’Attorre quando riassume il programma di una nuova formazione politica in Italia, che cerchi di superare veramente la grande crisi complessiva del sistema.
Un ricetta economica e istituzionale?
Keynes e la Costituzione repubblicana del 1948. Questo è quanto io credo che ci sia di più moderno e di più avanzato in questo momento storico per l’Italia.
Eppure, l’impressione è che voi abbiate insistito poco sulla differenza di scelte di politica economica, in questo periodo di neoliberismo trionfante e di capitalismo finanziario.
Non è vero. Lo abbiamo anche scritto, più di una volta. Se c’è stata qualche carenza, il problema è dovuto a questioni mediatiche, dove su questi temi, spesso, si approfondisce poco, si scivola via. Il meccanismo mediatico, in sostanza, lascia poco spazio a argomenti di questa portata.
Voi avete un appuntamento importante il prossimo sabato, 7 novembre, al Teatro Quirino di Roma.
Sì, in quell’occasione avremo l’opportunità di incontrarci con chi vuole ricostruire la sinistra, con chi si batte perché la sinistra non sia cancellata in Italia e costruiremo, daremo vita a un nuovo soggetto politico.
C’è già un nome? E chi aderirà a questo nuovo partito?
Ne troveremo uno, di nome. Contiamo che siano in tanti ad aderirvi. Ci sono quelli che hanno dato e che daranno le dimissioni dal Pd. C’è Sel, che confluirà nel nuovo schieramento e che si è messa con generosità al servizio di un nuovo progetto politico a partire dai gruppi parlamentari. E ci sono altre formazioni di sinistra.
Se lei dovesse indicare i motivi ispiratori complessivi di questa scelta, che cosa direbbe?
Guardi, ho riassunto prima, con Keynes e la Costituzione del 1948, una scelta complessiva. Ma posso indicarle il primo capoverso del nostro documento, per essere più esplicito ed esauriente. La mutazione genetica del Pd è purtroppo un fatto compiuto. Lo è per il programma sociale ed economico, per l’idea delle istituzioni e del sistema democratico, per le riforme fatte in materia istituzionale, nel merito e nel metodo, per la natura della vita interna al Pd, per il radicale mutamento della composizione dei suoi iscritti ed elettori, per le nuove alleanze politiche e sociali che si stanno affermando.
A questo punto il Pd di Renzi sembra veramente scivolato molto a destra e non rappresentare più la sinistra. Si potrebbe dire che siamo oltre Blair?
Non c’è dubbio che anche il blairismo è stato superato da questo partito. Ma non c’è dubbio che dobbiamo guardare a una sinistra europea nuova.
E’ difficile coniugare Keynes con l’attuale neoliberismo che domina in Europa.
In effetti l’Europa è intrappolata in questo momento da questo tipo di politica. Abbiamo bisogno di una sinistra europeista ma con un pensiero nuovo sull’Europa: il punto di partenza, dopo quello che è accaduto in Grecia e in Portogallo, non può essere che la difesa della democrazia costituzionale, della sovranità popolare e della pari dignità tra i popoli europei. Ogni retorica europeista che non parta di qui è, consapevolmente o meno, funzionale ai disegni dell’establishment finanziario, che sfrutta l’idea degli “Stati Uniti d’Europa” non per costruire una democrazia europea, ma solo per svuotare ulteriormente le democrazie nazionali, assoggettandole al controllo di organi tecnocratici.
E’ una operazione importante, alternativa al “pensiero unico” dell’oggi, ma tutt’altro che semplice.
Bisognerà andare oltre una separazione tra riformisti e radicali, che non regge più da nessuna parte del mondo e che indica solo una comune impotenza di fronte alla grandezza dei problemi posti dal capitalismo finanziario contemporaneo.
(Gianluigi Da Rold)