Mentre il governo annuncia di voler “varare il decreto legislativo sull’incandidabilità in tempo utile perché sia efficace in vista delle prossime elezioni”, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha recentemente firmato il testo della legge anticorruzione approvata dal Parlamento. Lo si legge in una nota diffusa dal Viminale al termine della riunione avvenuta nella giornata di ieri tra i ministri della Giustizia, dell’Interno e della Pubblica Amministrazione per individuare le fattispecie di reato che determineranno l’incandidabilità dei condannati in via definitiva. Il testo della legge anticorruzione, intanto, verrà pubblicato a breve in Gazzetta Ufficiale e, da quel momento, decorreranno i 15 giorni per l’entrata in vigore della legge. Ne analizziamo ogni aspetto con Paolo Tosoni, avvocato del foro di Milano e presidente della Laf, Libera associazione forense.
Cominciamo da un giudizio generale riguardo la nuova legge.
C’era sicuramente bisogno di emanare una nuova legge contro alcune fattispecie di reati contro la Pubblica amministrazione, tra cui in assoluto la corruzione. Questo perché il nostro Paese è stato teatro di Tangentopoli e, soprattutto nell’ultimo periodo, di fatti che hanno chiaramente mostrato quanto il fenomeno non sia stato ancora debellato, ma anzi continui in modo massiccio a verificarsi attraverso un’illegalità diffusa nel rapporto tra il pubblico e il privato. Da questo punto di vista ritengo dunque che la legge si dovesse assolutamente fare, ma è ovvio che portarla a termine in tempi decisamente stretti e a seguito di una riflessione e un confronto piuttosto affrettati, da parte di un esecutivo a termine, inevitabilmente può far presentare dei limiti.
Quali in particolare?
Andando ad analizzare i diversi passaggi del testo, è chiaro che se si vuole combattere il fenomeno, non solo quello della corruzione in senso stretto, era inevitabile attendersi un inasprimento delle pene per rendere più deterrente la normativa. Questo in parte è stato fatto, in parte no.
Su quali punti?
E’ stata inasprita la pena per la corruzione, per il peculato e per la concussione, ma proprio riguardo quest’ultimo reato mi lascia perplesso la distinzione fatta tra la costrizione e l’induzione. In teoria è una decisione che può avere un senso, al fine di attenuare la pena per l’induzione, ma faccio fatica a comprendere la ragione per cui sia stata anche ipotizzata una pena per colui che è stato indotto. Nell’ambito della condotta concessiva, che pone comunque il concusso in una posizione di assoggettamento, è strano prevedere una pena di questo tipo, in particolare sotto il profilo della denuncia e della scoperta di questa tipologia di reato.
Come mai?
Perché colui che denuncia un fatto di concussione è come se facesse un’autodenuncia, perché di fatto denuncia sé stesso. E’ quindi un aspetto di cui non mi è ben chiara la ratio, a cui poi aggiungerei quello riguardante il traffico di influenze, una tipologia di reato molto delicata.
Ce ne parli.
Diversamente dalla corruzione, ben delineata nella sua fattispecie, il traffico di influenze è di difficile comprensione e di non facile inquadramento nelle condotte pratiche e concrete. Questo si presta purtroppo, soprattutto in tale ambito di reati, a letture forzate e non precise: una norma così concepita, quindi, a una prima lettura potrebbe prestarsi anche ad eventuali abusi o perlomeno a un utilizzo “leggero” per qualsiasi situazione che presenti un minimo di non linearità. Bisogna infatti sottolineare che non sono state previste pene molto rilevanti per questo traffico di influenze, e questo è stato probabilmente voluto proprio per mitigare una norma che può prestarsi ad essere letta in modo ampio e generico.
Come giudica invece le pene previste per la corruzione tra privati?
Parliamo senza dubbio di un reato importante, soprattutto perché oggi si tende a sottovalutare l’impatto che certe tipologie di reato possono avere nell’economia del Paese. A fronte di una norma così rilevante, quindi, vedo una pena molto contenuta. Non vorrei dunque che fosse una norma valida solamente sulla carta che poi ha in realtà pochissima incidenza nella società. Questo mi dispiacerebbe, perché il nostro Paese ne ha davvero bisogno. Più in generale vorrei poi aggiungere che, una volta stabilito di voler fare una legge importante riguardo la corruzione, si doveva assolutamente rivedere anche la norma sui falsi in bilancio, rimasta di fatto inapplicata dal 2002.
Bisognava dunque approfittarne per renderla finalmente efficace?
Certo. In Italia il falso in bilancio è un reato molto diffuso, attraverso il quale si pongono in essere situazioni di corruzione ed evasione fiscale, ma non solo. Quindi il fatto che non sia stata sfruttata questa enorme occasione per mettere finalmente mano a una legge come questa, inasprendo le pene e rendendole efficaci, a mio giudizio è stato un grave errore.
Passiamo dunque al decreto incandidabilità che il governo vuole rendere operativo entro le prossime elezioni.
Credo che fosse assolutamente necessario prevedere l’incandidabilità di persone che hanno riportato condanne. Può sembrare banale, ma i rappresentanti del popolo sono coloro che di fatto vanno poi a fare le leggi, quindi non è pensabile immaginare un rappresentante condannato proprio per averle violate, tra l’altro in modo grave. Per questo mi sembra importante dare un segnale importante anche in Italia, recuperando una sorta di credibilità della politica stessa. Anche in questo caso, però, se davvero si vuole dare un segnale di questo tipo, è necessario farlo al meglio.
A cosa si riferisce?
Sembra che l’incandidabilità non sarà applicabile a chi ha ricevuto una condanna inferiore ai due anni, decisione a mio giudizio già decisamente discutibile, visto che tantissimi processi per corruzione si sono spesso conclusi con patteggiamenti a meno di due anni di pena. Di conseguenza, potremmo comunque ritrovare rappresentanti che hanno riportato condanne per corruzione. Detto questo, non capisco anche perché si faccia una distinzione tra i reati.
Cosa intende?
Se un rappresentante viene condannato, non credo sia rilevante al fine dell’incandidabilità saperne il motivo. E’ stato condannato, punto. Perché quindi distinguere i vari reati, come quello contro la Pubblica amministrazione, evasione fiscale e così via? Un altro aspetto che appare poco serio è poi quello riguardante il periodo di incandidabilità rispetto alla condanna: per esempio, se un politico viene condannato a due anni, per il doppio degli anni non è candidabile.
Che cosa non la convince?
Il fatto che se un rappresentante viene condannato a due anni, può tranquillamente candidarsi dopo un certo periodo anche se è indagato o se addirittura viene condannato per un altro reato, ma non in via definitiva. Esistono già degli istituti nel diritto penale per cui colui che è stato condannato può essere riabilitato se entro 5 anni non commette altri reati della stessa indole, attraverso una verifica fatta proprio dalla magistratura stessa. Questo è senza dubbio un ottimo istituto, mentre quella che stiamo commentando mi sembra un’altra solita norma fatta “all’italiana”.
(Claudio Perlini)