Avvenimenti davvero imbarazzanti sono avvenuti la scorsa settimana. La vittoria degli anti-secessionisti scozzesi in Gran Bretagna (cioè del governo inglese) ha lasciato un’eredità pesante: infatti, essa è stata ottenuta al prezzo di un accordo (siglato poco prima del voto, sull’onda emotiva degli ultimi sondaggi, che davano per possibile una clamorosa vittoria secessionista) che concede maggiore sovranità a quei territori e a quelle regioni. Ma la cessione di sovranità dal centro alla periferia è proprio il movimento contrario oggi dominante in Europa. L’esempio rischia di essere la miccia che accende la disgregazione europea. Anche per questo, ora che il voto è passato, da parte di diversi politici sono già iniziati i distinguo o le retromarce. Ma nulla accade senza conseguenze: se l’accordo dovesse in qualche modo essere sminuito, al prossimo referendum (o alle prossime elezioni) il potere dominante oggi a Londra rischia di trovarsi contro una fetta consistente di popolo, cioè la maggioranza di una certa regione. La fazione indipendentista si rafforzerebbe.
Anche il giudizio espresso dal governatore della Bank of England va alla fine nella stessa direzione. Di fronte all’ipotesi che dopo la secessione gli scozzesi potessero utilizzare la stessa moneta (la sterlina), ha affermato: “Una unione monetaria è incompatibile con la sovranità” (“A currency union is incompatible with sovereignty”), intendendo dire che non sono compatibili sovranità indipendente e moneta dipendente. Ma allora cosa ci stiamo a fare noi in Europa? Infatti, il governatore della Bank of England ha aggiunto: “Basta guardare cosa succede nel continente per capire”. Appunto.
Il vero nocciolo della questione è: vi sono ragione profonde per questa sovranità, per questa richiesta di indipendenza? Quello scozzese è veramente un popolo? Questo è l’elemento cruciale per una sovranità, che nemmeno i secoli possono scalfire. Perché se un popolo c’è, la sovranità ha un fondamento: questa realtà non cambia, anche dovessero passare i millenni. E prima o poi la storia riprende il suo corso.
Così la storia, molto più breve, dei finanziamenti straordinari della Bce alle banche europee. Ormai siamo alla scadenza di quello che nel linguaggio tecnico della Bce è stato chiamato Ltro, tre anni dal 2011. Ora la Bce si è lanciata in un nuovo piano per sostenere la crescita. Lo hanno chiamato T-Ltro. La nuova T vuol dire “Target”, cioè questi soldi hanno un obiettivo, vengono concessi (è sempre un prestito, cioè soldi che devono tornare indietro con gli interessi) per finanziare imprese e famiglie. In settimana c’è stata la concessione della prima rata ed è stato un fallimento clamoroso: appena 82 miliardi richiesti dalle banche europee, contro i 150-200 previsti. Davvero una miseria. La conclusione è che le banche non hanno intenzione di concedere questi prestiti all’economia reale. Intenzione confermata da un altro dato: le stesse banche hanno restituito in anticipo rispetto alla scadenza circa 20 miliardi della precedente operazione Ltro. Soldi che le banche non sono riuscite a prestare.
L’iniziativa di Draghi si sta rivelando un flop clamoroso, di cui nessuno parla (per ora, ma i nodi prima o poi vengono al pettine). Del resto, come dare colpa alle banche? Se queste devono restituire il prestito con gli interessi (per quanto questi siano bassi), come faranno, visto che l’economia reale è in recessione? Se il Pil è negativo (in variazione sull’anno precedente), gli interessi sul prestito dovrebbero essere ancora più negativi (per sperare di vedere onorato il contratto del debito).
E gli ultimi dati sul Pil italiano confermato purtroppo quanto già detto (anche da me: sì lo so, io ci avevo azzeccato, non come quegli economisti da strapazzo del Fmi e ora al governo, vero Padoan?) su queste colonne, la previsione dell’Ocse per il 2014 (previsione? A pochi mesi dal dato ufficiale?) è di un Pil in variazione negativa a -0,4% (invece della previsione precedente di pochi mesi fa a +0,5%, pure questi economisti da strapazzo).
Occorre essere onesti: con un’economia in queste condizioni, come si fa a prestare soldi? E con i mercati finanziari in continua ascesa (per puro eccesso di liquidità, quindi in ascesa per forza), come si fa a non cercare rendimenti sicuri e promettenti in borsa? Ma qui il vero cuore della questione, quello che non si vuole affrontare e non si vuole nemmeno accettare, è il seguente: la moneta è un bene pubblico? La moneta deve essere al servizio dell’economia reale? Oppure la moneta deve comandare, deve governare? Il Papa ha già chiarito qual è la posizione della Chiesa: “Il denaro deve servire e non governare!” (Evangelii gaudium, n. 58).
Anche un popolo saprebbe probabilmente scegliere bene. Non sempre un popolo sceglie bene, ma per i poteri forti è meglio non correre rischi. Per questo tentano di ridurre e contenere la sovranità dei popoli. Ci riusciranno anche in Italia? Io sono ottimista. Non sarà un passaggio facile e neppure indolore, ma il traguardo è prezioso e quello italiano (anche se spesso non appare, non finisce sui giornali o in televisione) è un grande popolo.