L’assemblea dei fuoriusciti dal Pd è di incerto avvenire, ma è un nuovo soggetto con visibilità parlamentare che scende in campo nelle città che vanno al voto e può essere ulteriormente destabilizzante per le maggioranze uscenti del Pd: Sinistra Italiana dipinge Renzi come un nuovo Berlusconi.
Da parte sua il premier-segretario ha commissariato il partito attribuendo al Nazareno solo la difesa dei provvedimenti governativi e nessuno si occupa delle situazioni locali. Risultato: dove si vota, il Pd è già una “telenovela”.
L’unica realtà in cui la vittoria sembra sicura è Torino, città di Marchionne, dove però non c’è stata rottamazione: città e partito sono saldamente governati da Piero Fassino, ex segretario provinciale del Pci e in Consiglio comunale nel 1975. Ma il sindaco è intralciato da Chiamparino, non più renziano, che minaccia le dimissioni da governatore a gennaio e Sel ha rotto l’alleanza al motto: “Fassino ha fallito”.
Per il resto sono brividi, a cominciare dalla principale “roccaforte rossa”, Bologna, dove il sindaco Merola era già stato “processato” in seno al Pd per mesi e infine “assolto” e ricandidato alla vigilia dell’estate per mancanza di alternative. Da settimane è però il caos. Merola ha licenziato l’assessore alla Cultura che era a favore delle occupazioni abusive e questi ha reagito minacciando una lista civica antagonista. Allora il sindaco si è buttato a sinistra con l’assessore ai Servizi sociali (indagata per aver celebrato un matrimonio in cui l’uomo non sarebbe stato in grado di intendere e volere) che esalta le occupazioni (“Creano valore sociale”). E così quando la polizia ha proceduto allo sgombero dell’ex Telecom, Merola si è scagliato contro “i poliziotti in assetto di guerra” gelando i rapporti con prefetto, questore e Procura. A sua volta l’assessorato ai Servizi sociali è ora indagato per aver avvertito gli occupanti dello sgombero mentre il presidente della Regione, Bonaccini, prende le distanze dal Comune: “Chi occupa deve aspettarsi gli sgomberi”. Il risultato è che il sindaco Pd ha scontentato l’elettorato sia sulla destra sia sulla sinistra.
A Napoli i 5 Stelle, primo partito alle regionali, sono dati per vincenti. Il sindaco De Magistris appare in caduta libera con i quartieri sempre più invasi dalla criminalità. Il vertice renziano del Pd non sa a che “santo” rivolgersi mentre Antonio Bassolino, uscito assolto da una raffica di processi, ha annunciato la sua candidatura in polemica con Renzi. L’unica alternativa a Bassolino, novello “Conte di Montecristo” (come lo chiama Antonio Polito), non sono certo i rottamatori, ma i seguaci del presidente della Regione, De Luca (appena “scomunicato” dalla Boschi per gli attacchi alla conduzione dell’Antimafia da parte della Bindi) peraltro alla ricerca — a loro dire — di un “Maradona”, cioè un candidato al di fuori del partito.
A Roma, come è noto, il M5s è con il vento in poppa con la prospettiva di andare al ballottaggio non con il centro-sinistra, ma con il centro-destra.
Infine a Milano il Pd si trova alle prese con il dopo-Pisapia. L’unica carta in mano a Renzi è Sala, ma già il più autorevole renziano milanese, Stefano Boeri (candidato sindaco alle primarie del 2011), lo ha stoppato: “Un sindaco deve saper scegliere molto bene le persone di cui si circonda e l’entourage intorno a Sala all’Expo — ha dichiarato l’archistar — non è stato dei migliori. Non lo dico io, lo dicono i fatti”.
E qui emerge il nodo delle primarie: nel senso che Sala rischia di fare la fine di Bruno Ferrante. Anche l’ex prefetto di Milano nel 2006, dopo aver dimostrato di conciliare ordine e tutela sociale con l’unanime elogio di Assolombarda e sindacati, aveva in partenza probabilità di prevalere sulla Moratti che sembrava un candidato paracadutato all’ultimo momento da Berlusconi. Ma le primarie lo hanno distrutto. Due mesi di torte in faccia da Dario Fo suo antagonista. Il vertice Pd per reagire all’irrisione del premio Nobel costrinse l’ex prefetto a non farsi più vedere con giacca e cravatta e lo mandarono in giro travestito da ex sessantottino in giubbotto. Insomma si doveva far dimenticare che Ferrante fosse stato il prefetto di Milano.
Anche oggi con Sala il rischio delle primarie è il “torte in faccia” (o, come lo chiama più bonariamente Pisapia, il “rischio rissa”) screditando Sala e l’Expo e dando visibilità alle componenti più estremiste della coalizione. Ma se Sala rifiuta, l’alternativa — forse — non sono Fiano o Majorino. Incombe la candidatura dell’ex direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli, che Renzi vede come il fumo negli occhi.
Più in generale grava un dato politico sulle primarie. A parte il fatto che le primarie sono volute soprattutto dalla minoranza del Pd come occasione di allearsi con Sel e altri “movimentisti” per mettere in minoranza i “renziani”, il dato politico generale è: come fa il partito del premier ad allearsi a tappeto con partiti che sono all’opposizione in Parlamento e accusano Renzi persino di “regime”? L’alleanza tra Pd e partiti dell’opposizione parlamentare nelle prossime elezioni comunali ha una indubbia valenza nazionale. Si tratta di una proposta di coalizione di governo che riguarda le tre principali aree metropolitane d’Italia che sono alla guida dello sviluppo nazionale dell’industria, del terziario e dell’agricoltura.
Le primarie in realtà possono avere senso positivo per Renzi solo se servono a mettere in secondo piano il Pd e a far decollare le candidature di sinistra come “liste civiche” prefigurando una “lista Renzi” quando entrerà in vigore l’Italicum. Ovvero, come ha dichiarato Sala, “Di destra, di sinistra, di centro? Io me ne frego”.