A spiegare meglio di ogni altro parametro la condizione relativa del Mezzogiorno nel quadro allargato dell’Europa unita soccorre l’investimento estero diretto. L’ammontare di capitale, cioè, che affluisce dal di fuori dei confini nazionali. Ebbene, diviso per abitante, l’investimento estero è pari a 13 euro nelle regioni meridionali, a 305 in Italia e a 800 nel Continente con punte di 1.500 in Irlanda Olanda Svezia.
Insomma, i detentori dei grandi capitali si tengono alla larga dall’Italia e massimamente dall’Italia del Sud. Il perché è intuitivo: non ritengono siano posti giusti per ricevere un’adeguata remunerazione e moltiplicare la ricchezza. A questo dato, già allarmante, si aggiunge il corollario dei capitali interni in fuga verso occasioni di guadagno che non trovano in casa. Si iscrivono a questa categoria anche i giovani che partono in cerca di fortuna.
Tutto questo non vuol dire che il Mezzogiorno sia privo di valori da riconoscere e apprezzare. Vuol dire, piuttosto, che questi valori rappresentano un’eccezione e che, soprattutto, stentano ad avere i riconoscimenti dovuti.
Sono anime belle, buone per convegni e rappresentazioni accademiche, costrette a muoversi in un groviglio di problemi che ne rallenta l’azione e ne fiacca l’entusiasmo. Con l’aggravante che in nessun posto come nel Mezzogiorno si può toccare con mano la veridicità dell’assioma che nessuno è profeta in patria.
La fioritura di studi che da sempre accompagna questo stato di fatto indica la causa in alcune ragioni le più ricorrenti delle quali sono la presenza di una criminalità aggressiva, l’ingombro di una burocrazia allenata a mettere il bastone tra le ruote delle libera impresa, la percezione di una pressoché assoluta mancanza di regole e di certezza del diritto.
L’elenco non dev’essere necessariamente declinato in quest’ordine e può continuare con numerosi altri punti scabrosi.
Ora, mentre appare ragionevole ritenere che in alcuni casi, al punto in cui si è giunti, sia indispensabile un intervento robusto dello Stato, in altri potrebbe essere sufficiente una presa di coscienza delle classi dirigenti che dall’esercizio dell’analisi si costringano alla concretezza dell’opera.
Qualche segnale comincia a vedersi ma è ancora debole e difficilmente decifrabile nel rumore dell’inconcludenza che ci condanna.