Un lodo Monti per consentire il reintegro da parte di Fiat dei 19 operai licenziati perché iscritti alla Fiom. E’ quello cui starebbe lavorando il presidente del Consiglio, dopo che ben due ministri, quello per lo Sviluppo economico, Corrado Passera, e quello per il Welfare, Elsa Fornero, sono intervenuti sulla vicenda. L’ipotesi sarebbe quella di chiedere a Fiom un impegno scritto a rispettare gli accordi con Fiat, in cambio del reintegro dei lavoratori licenziati. Ilsussidiario.net ha intervistato sul tema Giulio Sapelli, docente di Storia economica all’Università di Milano.
Per quale motivo Monti ha deciso di intervenire proprio su questa questione, e non su altre?
Monti si interessa di questo problema innanzitutto perché si è aperto un caso nel suo governo, dopo che ben due ministri si sono pronunciati contro il licenziamento discriminatorio. Ho trovato che l’iniziativa del ministro per lo Sviluppo economico, Corrado Passera, sia stata molto dignitosa. Pur in modo molto sobrio, ha aperto una discussione che ha coinvolto l’intero esecutivo. Finora nei confronti della Fiat il consiglio dei ministri era stato più subalterno che attento, e Passera lo ha notato facendone una questione di principio. Si è trattato di un atto politico preciso, con il ministro per lo Sviluppo economico che si è espresso per primo e la Fornero che ha ribadito il concetto.
Lei è d’accordo con Passera e la Fornero?
Sì. Il comportamento di Marchionne è tale che neanche il suo predecessore Vittorio Valletta avrebbe osato fare altrettanto. Io sono del tutto contrario all’atteggiamento con cui la Fiat sta affrontando le relazioni sindacali nel suo insieme.
La sentenza dei giudici però parla chiaro: gli operai devono essere reintegrati …
E’ un dato di fatto evidente, e ritengo che per arrivarci non fosse necessaria una sentenza dei giudici. Purtroppo, però, la riforma dell’articolo 18 voluta dalla Fornero va in questa direzione. Il risultato è che la risoluzione di conflitti come i licenziamenti di Pomigliano è affidata nuovamente nelle mani della magistratura. Al contrario le relazioni sindacali andrebbero gestite senza il continuo vincolo di leggi. L’enorme potere della magistratura sul reintegro dei lavoratori è estremamente dannoso, mentre sarebbe stato meglio introdurre una riforma di tipo arbitrale sul modello della Germania. Ma trovo ugualmente scandaloso per una società democratica che Marchionne, costretto ad assumere 19 persone dal giudice, decida di licenziarne altre 19.
Quei 19 operai erano stati licenziati per una discriminazione reale, o per altri motivi?
Basta conoscere i metodi della Fiat, per rendersi conto che l’unico motivo del licenziamento era l’iscrizione degli operai alla Fiom. La Cisl e gli altri sindacati hanno commesso un grave errore a non protestare. Impedire a un operaio iscritto a un sindacato di essere rappresentato, è come mettere una bomba nelle mani di un anarchico. Significa cioè spingere la Fiom su posizioni sempre più estremiste.
A questo punto è possibile immaginare un lodo Monti?
Sì. Pur con tutte le critiche che ho sempre rivolto a Marchionne, le sue ultime prese di posizione sono state ragionevoli. Apprezzo in particolare l’idea di abbandonare Fabbrica Italia e imitare Bmw e Mercedes, che in Germania hanno costruito dei centri produttivi per dei brand da vendere anche fuori dall’Europa.
Secondo lei quali forme prenderà il lodo Monti?
Non può essere che la reintegrazione degli iscritti alla Fiom. I metalmeccanici della Cgil d’altra parte dovrebbero dimostrare una certa intelligenza strategica e fare i ponti d’oro al presidente del Consiglio, che cerca di correggere un atto inqualificabile come il licenziamento discriminatorio. La Fiom dovrebbe abbandonare la sua intransigenza crudele, pur di salvare il posto agli operai meridionali di Pomigliano che non possono avere altre forme di reddito rispetto a quello offerto dagli stabilimenti Fiat.
Lei prima ha citato il metodo con cui la Fiat affronta le relazioni sindacali, affermando che è diverso da quello delle altre aziende. In che senso?
I metodi della Fiat nella storia sono sempre stati molto diversi da quelli di Alfa Romeo, Pirelli ed Eni, perché anziché essere fondati sulla negoziazione, si sono sempre basati sull’imposizione. Occorre invece che le relazioni sindacali si basino sulla partecipazione, non soltanto da parte dei lavoratori, ma anche del management e del sindacato. La Fiat al contrario ha sempre preferito compiere degli atti di forza, e non di cooperazione. Questo ha generato nel sindacato un’ala sempre più intransigente, antagonista e aggressiva. Al contrario secondo le teorie del pluralismo anglosassone è il management che fa il sindacato, cioè che lo spinge su posizioni moderate oppure estremiste.
Che cosa è cambiato in Fiat da quando c’è Marchionne?
Ai tempi di Valletta la Fiat si identificava totalmente con Confindustria, anche perché in quel periodo era l’impresa italiana che cresceva di più. Marchionne invece si è isolato per una sua stessa decisione dal resto del mondo confindustriale. E’ stata la Fiat a uscire da Confindustria, nessuno l’ha cacciata.
E’ solo questa l’unica differenza rispetto al passato?
A essere cambiata è stata anche la situazione complessiva. Innanzitutto, ai tempi di Valletta c’erano la Guerra fredda, i sindacati comunisti e lo spartiacque ideologico. Nonostante tutti questi ostacoli, all’epoca la Fiat cresceva. Oggi invece c’è un manipolo di ideologi anarco-sindacalisti, che hanno conquistato il controllo della Fiom e fanno dell’intransigenza Fiat l’occasione per continuare a perseguire una politica errata. La colpa di Marchionne è proprio che grazie a lui, questi personaggi riescono ad avere uno spazio che un tempo neanche si immaginavano.
(Pietro Vernizzi)