Abbiamo innumerevoli motivi per indignarci, per urlare la nostra rabbia. Ogni giorno i media ci mostrano scandali e soprusi, ci documentano ingiustizie, con i protagonisti di questi eventi che accampano le scuse più improbabili ma, soprattutto, senza che vi sia la benché minima intenzione di cambiare.
L’ultimo esempio è dato dall’incredibile vicenda dei rimborsi ai partiti. Un fiume di denaro, decisamente superiore alle effettive esigenze, utilizzato nei modi più strani, per pagare viaggi di lusso, cene a base di tartufo, per esportare capitali all’estero o per comperare titoli di studio o favori dai potenti di turno. E tutto questo mentre si chiede agli italiani di fare sacrifici, di non evadere le tasse, di restringere le spese, spesso già fortemente compresse.
Com’è possibile che continui questo andazzo? Come fanno a ingannarci in modo così sistematico? Come riescono a impedire che vengano adottate soluzioni di puro buon senso che ciascuno di noi potrebbe facilmente trovare e che potrebbero cambiare significativamente alcune di queste assurdità? Dove stanno i trucchi?
Provo a citarne alcuni tra i più significativi.
Lo scudo della legge
I ladri più pericolosi non sono quelli che violano la legge, magari rischiando il carcere, ma quelli che si avvalgono delle leggi. Questi “dottori della legge” sono abilissimi a spiegare le varie norme, a dimostrare che loro sono costretti ad applicare la legge e che non è colpa loro, se le conseguenze non sono quelle che tutti desidereremmo.
Prendiamo ad esempio l’obbligatorietà dell’azione penale. Poiché la legge impone di perseguire determinati reati quando un magistrato va a fondo in qualche caso particolare non lo fa per accanimento o per un pregiudizio, ma per espletare un dovere. Peccato che milioni di processi cadano in prescrizione e la maggioranza dei reati non venga affatto perseguita. Allora qualcuno dovrebbe spiegare come mai quando si tratta di personaggi importanti o con grande visibilità i loro (presunti) reati vengano perseguiti con grande zelo, mentre, appena questi potenti diventano meno potenti, anche i processi nei loro confronti diventano meno obbligatori.
Applicando la legge si può arrivare a condannare qualunque persona, tanto più se questa si è data da fare, e a bloccare qualunque iniziativa. Chi di noi potrebbe essere esente da colpe se la sua attività venisse passata al microscopio o chi può dire di avere una qualunque attività che non abbia mai violato alcuna norma e che possa uscire indenne da una verifica volutamente approfondita?
Non si tratta di un fenomeno recente. I farisei erano scrupolosissimi nello studio della legge e nell’indicare agli altri come applicarla. Anche oggi i farisei, di cui dobbiamo sopportare le prediche quotidiane, sono zelantissimi nello spiegarci i nostri doveri. Peccato che oggi come allora siano i primi a violarne lo spirito e a a servirsi delle leggi esistenti anziché porsi davvero al servizio della legge.
Proliferazione delle leggi
Tanto più numerose sono, tanto più difficile diventa osservarle. Mentre per chi deve rispettarle la proliferazione rappresenta un onere, per chi le deve far rispettare aumenta il potere discrezionale. Poiché è impossibile applicare tutte le norme, al fariseo di turno toccherà scegliere quali leggi far valere e nei confronti di chi. Nessun finanziere potrà mai controllare tutte le aziende e anche all’interno di un’azienda diventa molto difficile verificare l’applicazione di tutte le norme in vigore. Molte leggi nate per combattere la corruzione finiscono, con il loro proliferare, per diventare un significativo ostacolo alla legalità. Come si fa ad ottenere 35 autorizzazioni per ampliare un’attività commerciale? Come si fa a mettere d’accordo la Regione, il Comune, i vigili del fuoco, la finanza, l’ispettorato del lavoro? Come se non bastasse occorre procurarsi anche tutte le certificazioni per l’igiene, per la sicurezza, perl’antimafia. Se per caso trovassero che oggi è tutto regolare potrebbero sempre chiedere la prova di tutti i vari adempimenti degli ultimi 3 o 5 anni prima.
La proliferazione delle leggi rappresenta una grande opportunità per i farisei e per quanti vogliono conservare privilegi, ma rappresenta un costo pesantissimo per chi vuol produrre ricchezza.
Non si può sapere
Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, dice un famoso proverbio. Quando non si vuole ottenere un determinato risultato, ad esempio allineare le retribuzioni dei parlamentari italiani alla media delle retribuzioni europee, basta dimostrare che non esistono validi elementi di comparazione.
Hanno l’impudenza di dirci che non si può fare un paragone perché le realtà sono eterogenee, che non si capisce come si possa fare a cambiare alcune norme perché nessuno sembra titolato a farlo e, colmo dei colmi, che non si può saper quanto guadagna un parlamentare perché dipende dai casi. Così si arriva all’assurdo che coloro che devono amministrare e guidare un Paese non sanno neppure quanto guadagnano! Si crea una commissione per stabilire qual è la media delle retribuzioni europee alle quali conformare gli stipendi italiani e si arriva alla conclusione che non si può trovare alcun riferimento utile.
Di fronte a una miniera di carbone qualcuno può affermare che non si può sapere quanto è il carbone estratto perché non viene pesato. Qualcuno potrebbe sostenere che una stima empirica basata sul numero dei carrelli in uscita e il loro contenuto medio potrebbe fornire una stima attendibile; ma chi vuole sostenere che non si può sapere non si arrenderebbe neppure se fosse collocata una bilancia all’uscita perché direbbe che la bilancia non è attendibile, che gli operai sono distratti, che vi sono delle dispersioni durante il trasporto…
Non si deve sapere
Non è giusto che tutti sappiano e conoscano fatti riservati. Ancora una volta un principio giusto viene usato per compiere nefandezze. Avete mai visto una legge più violata della privacy?
Eppure lobby potenti riescono a mantenere la riservatezza su aspetti su cui non desiderano che si faccia chiarezza e usano questa ulteriore barriera per proteggere i loro privilegi.
La domanda finale
Alla fine di questo “corso di magia” abbiamo visto di quanti trucchi dispongono questi “maghi” per ingannarci.
Ora rimane la domanda più importante: cosa possiamo fare noi?
Può il nostro sdegno essere costruttivo o è condannato a rimanere sterile o peggio ancora sconfinare in forme di proteste che finiscano per aggravare il male anziché risolverlo?
Ipotesi di risposta
Indignarsi oggi è giusto e necessario. Occorre ribellarsi a ciò che limita la qualità della nostra vita, ma non è facile.
In un precedente articolo avevo descritto le modalità attraverso le quali il Potere cerca di mantenere i propri privilegi, bloccando le giuste istanze di cambiamento.
Ora proverò a descrivere le possibili reazioni a questo “furto” compiuto ai nostri danni proprio da chi, in teoria, dovrebbe tutelarci.
La prima tentazione è lo scoramento: sono tutti uguali; non si può cambiare nulla; non andrò più a votare. Questo atteggiamento, umanamente comprensibile, riduce progressivamente il mio spazio di azione e allarga le possibilità di manovra a quanti intendono sfruttare la mia impotenza.
La seconda possibile reazione è la protesta, più o meno violenta.
Posso scendere in piazza, votare per Grillo e il suo Movimento 5 Stelle o cercare di evadere le tasse. Il Potere si nutre di queste contestazioni e grazie a loro si rafforza come il Minotauro che, secondo la famosa leggenda, si nutriva dei corpi dei giovani ateniesi inviati a combatterlo.
Una strada senza scorciatoie
La soluzione che mi sento di proporre non piacerà a molti, potrà sembrare troppo lenta, non promette di rimettere tutto a posto in breve tempo. Tuttavia mi sento di raccomandarla.
Innanzitutto una società con troppi nemici finisce con l’essere una società senza nemici. Può sembrare paradossale ma, se i nemici sono troppi, io, realisticamente, non posso sperare di combatterli e di vincerli. Devo imparare a convivere e a trovare le modalità più efficaci, all’interno di questa necessaria convivenza, per tutelare i miei interessi. Per farlo devo predisporre una risposta articolata.
Conoscere e giudicare
È il primo elemento della lotta. Devo sapere chi combatto, quali armi usa, quali sono i suoi punti di forza e di debolezza. Il giudizio nasce da una conoscenza e da una valutazione nella quale diventano palesi i valori traditi e quelli che invece vorrei preservare. Aiuta a smontare l’alibi che non si può cambiare o quello ancora più sottile: vorrei, ma non posso.
Il giudizio è l’inizio della liberazione.
Non combattere il male con il male
È una tentazione molto forte. Perché di fronte a tante ingiustizie devo rinunciare a usare strumenti ampiamente adottati dai miei avversari? Per due buone ragioni: per non diventare come loro e perché in questo modo si allarga il male che mi illudevo di combattere.
Certo, usare il bene per combattere il male significa cambiare orizzonte temporale. Per distruggere bastano pochi secondi mentre per costruire occorre molto tempo e pazienza, ma se non vogliamo che la nostra vita diventi un campo di macerie dobbiamo imparare a costruire, accettando i vincoli che tale opera comporta.
Creare (o partecipare a) luoghi di vita
Dobbiamo vivere nel presente. Non possiamo aspettare a vivere domani. Occorre trovare luoghi dove sia possibile vivere, oggi, la mia vita mentre tutto intorno a me sembra franare.
C’è un esempio illuminante. Alla caduta dell’impero romano, mentre tutto andava in rovina, gruppi di monaci hanno saputo ritrovarsi e imparando a lavorare e pregare, a preservare antichi manoscritti, hanno saputo dare un senso alla loro vita e tramandarci, attraverso i secoli, una possibilità di vita degna di essere vissuta.
Quello che occorre cambiare non sono le circostanze (impresa impossibile), ma il modo in cui io vivo le circostanze.
Questo cambiamento per poter avvenire deve avere dei luoghi di vita e di confronto. Costruire questi rapporti è fondamentale e rappresenta una possibile risposta alle esigenze mie e dell’intera società.
Rendere esplicite e note a tutti le esigenze di cui siamo portatori
I tre punti precedenti rappresentano la base per costruire una richiesta di rispetto non effimera. Ora si tratta di esporre questa domanda, di non nascondere il desiderio che ci anima.
In una società complessa e articolata come quella in cui viviamo vi sono molti modi per esprimersi. L’importante è avere una chiarezza di giudizio, la consapevolezza dei proprivalori e il rispetto per tutte le identità presenti. Questo rispetto va chiesto non solo alle Istituzioni nelle loro varie articolazioni, ma a quanti incontriamo sul nostro cammino.
Se un cambiamento non nasce dal basso, se non siamo noi i primi a rispettare le regole, anche semplici come non gettare le carte per terra o non scavalcare la fila allo sportello, non ci sarà alcuna possibilità di ripristinare il rispetto delle regole. Un mio amico mi raccontava che una delle punizioni più efficaci che abbia subito in tutta la sua vita sia stato lo sguardo con cui un’anziana signora inglese lo ha trafitto mentre stava pensando in quale fila inserirsi. Solo un controllo sociale vasto e condiviso può incanalare i comportamenti e questo è un compito che riguarda tutti.
Continuità
Le falsità hanno vita breve. Scegliere la continuità vuol dire bandire le scorciatoie, assumersi la fatica di una paziente e tenace costruzione.
Questa è la cartina di tornasole per individuare chi ci può davvero aiutare e assicurare soluzioni che permangano nel tempo e quanti, con la scusa di arrivare presto alla soluzione, finiscono per danneggiarci.
La continuità è l’aspirazione più profonda dell’uomo che la cerca attraverso i figli e facendo qualcosa di buono e di valido che possa permanere nel tempo. Per i credenti è la riprova che, essendo fatti per l’eternità, troviamo dentro di noi una bussola che ci guida alla ricerca di risposte non effimere.
Difesa di una proposta
Ribadito che si tratta di una proposta verso la quale è possibile sollevare molte obiezioni, provo a difenderla facendo notare che:
– non dipende dalle circostanze.
Essa pertanto sfugge ai ricatti che più frequentemente ci costringono ad andare dove non vorremmo.
– è applicabile da subito.
Il famoso “qui ed ora”, che la saggezza cristiana ci fa ricordare nelle preghiere, esprime l’esigenza di una risposta che non può essere differita nel futuro o quando le circostanze saranno favorevoli.
– rende lieta la mia vita.
La letizia non dipende dal successo, dal cambiamento di ciò che è al di fuori di me ma dal fatto che io sperimento la mia realizzazione, cioè che trovo una risposta adeguata ai bisogni che mi costituiscono. Se io divento più consapevole di me, della mia storia, del mio destino, del mio legame con quanti incontro, cresce la cosa più importante: la mia autocoscienza
– è il migliore contributo che posso dare alla società.
Oggi noi adulti siamo una generazione a valore sottratto, cioè una generazione che lascerà ai nostri figli meno di quanto abbiamo ricevuto.
Per chi non si rassegna a questa condanna e vuole fare qualcosa per invertire, almeno parzialmente, questa deriva occorre una risposta senza trucchi e senza inganni.