La Commissione europea ha inviato all’Italia un questionario di 39 domande, cui rispondere in fretta e senza errori. Di fatto, 39 indicazioni. Manco fosse la coalizione uscita vincente dalle urne, incaricata di riscrivere il programma di governo. E così con una lettera di Olli Rehn a Giulio Tremonti si chiedono lumi su tutto: previdenza sociale, mercato del lavoro, fondi strutturali, giustizia istruzione e via dicendo. Scadenza massima, l’11 novembre. «Ci trattano peggio della Grecia. Nonostante la nostra economia sia molto più solida e abbiamo tutti gli strumenti per mettere a posto i nostri contri. Non resta altro da fare che ripristinare un minimo di credibilità politica» spiega, interpellato da ilSussidiario.net l’economista Marco Fortis, vicepresidente della Fondzione Edison. Che sottolinea come, del resto, alla credibilità politica si sia aggiunta l’ignoranza e l’incapacità di comunicare i dati che andrebbero presentati ai mercati. «Il piano di ristrutturazione del deficit italiano, secondo le ipotesi più negative, come quelle del Fmi, non centrerà l’obiettivo del pareggio, ma raggiungerà l’1,3%. Che è pur sempre una delle più importanti manovre che si siano mai viste sulla faccia della terra».
Non solo: «Siamo l’unico Paese del G7 che chiuderà con un avanzo primario virtuoso. E le nostre banche sono solide. A differenza di quelle di Francia e Germania, esposte ai titoli tossici dei Pigs». Eppure, il commissariamento si fa via via più insistente. «Questo perché l’instabilità politica determina incertezza – lo si è visto dallo spread che resta sopra i 500 punti benché il premier abbia annunciato le dimissioni – e l’Unione europea, per dimostrare ai partner che sta svolgendo a dovere il proprio ruolo, utilizza con noi questi metodi. Difficile, con un governo poco credibile, rispedire le critiche eccessive al mittente». Ora l’appuntamento è con il maxiemendamento alla legge di stabilità che dovrebbe contenere quanto chiesto dall’Europa. Ma se prima il governo non era credibile, ora siamo (quasi) senza governo. «C’è da sperare che l’expertise del ministero dell’Economia, come sempre è avvenuto nella storia della nostra Repubblica, dia indicazioni il più precise possibili».
Qualcuno continua a ipotizzare l’introduzione di una patrimoniale. Per tagliare la testa al toro e metter, finalmente, in ordine i conti. Fortis non pensa sia la strada giusta. E indica le opzioni alternative: «Anzitutto, la politica deve dare un segnale di buona volontà, e iniziare a tagliare al suo interno. Non può, altrimenti, pensare di lanciare un appello al sacrificio agli italiani».
Detto ciò, «se c’è consenso politico – continua -, è possibile ridurre immediatamente una parte dei costi pubblici futuri operando sull’età pensionabile. Il recupero dell’evasione, inoltre, può essere effettuato abbassando a 500 euro il pagamento massimo in contanti o rendendo tracciabili tutta una serie di costi, come quelli per le ristrutturazioni delle case, come ha suggerito Confindustria».
Fortis, infine, illustra un’idea che potrebbe rivelarsi cruciale. «Il Giappone ha il 250% di debito pubblico sul Pil, ma solo il 15% è finanziato dall’estero. Occorre, quindi, ridurre il nostro debito pubblico estero. Organizzando un piano strategico per ridurre la nostra esposizione – attualmente al 51% del Pil – al 41%, come la Germania. E non con acquisti sporadici di Btp, come alcuni cittadini chiedono comprando pagine sui giornali». Come, allora? «Facciamo gli “Italian bond”: prendiamo parte delle riserve auree di Bankitalia (che sono superiori a quelle francesi), le quote pubbliche di aziende come Terna o Rete Gas, parte del patrimonio pubblico dismesso e mettiamo tutto in una società che possa emettere obbligazioni».
Si tratterebbe di titoli pregiatissimi, «perché coperti da oro, reti elettriche, beni immobiliari. Andrebbe offerta, in maniera pervalente agli italiani, la possibilità di sottoscriverli. Successivamente, se gli stranieri dovessero comprare i bond italiani a tassi ragionevoli, bene. Altrimenti, lo Stato potrebbe utilizzare le risorse ottenute dagli Italian bond per ricomprare parte del debito pubblico estero». Per inciso: «Il debito pubblico estero – conclude – italiano pesa poco meno di 800 miliardi. Quello francese 1190…».
(Paolo Nessi)