Qualora si fosse illuso che andare al governo fosse facile come prendere un Frecciarossa fra Firenze e Roma, Matteo Renzi probabilmente si è già ricreduto. La palude romana lo ha avvolto non appena uscito dalla stazione Termini, e il suo slancio si è forzatamente affievolito.
Che ci fossero problemi si era capito già sabato, perché mentre Napolitano procedeva nelle consultazioni, in tanti, forse in troppi chiedevano all’incaricando garanzie su posti e programma. È per questa ragione che il capo dello Stato si è assunto l’onere di intestarsi parte della diminuzione della velocità. Ha santificato la domenica affinché (parole sue sabato sera) “ci sia spazio e serenità successiva per chi avrà l’incarico di formare il governo, che avrà bisogno di tutto il tempo necessario per le consultazioni e le intese”.
Più di 24 ore non poteva guadagnare Napolitano, adesso tocca a Renzi, che si trova a dovere fare i conti con una doppia maggioranza, che rischia di entrare in un conflitto interno. Maggioranza di governo, Pd più alfaniani più centristi, contro maggioranza per le riforme, dove decisivo è il ruolo di Forza Italia. Il quasi incaricato assicura tutti che non si farà imbrigliare, ma non sarà facile, proprio perché tutti cercheranno di farlo.
La fedelissima Maria Elena Boschi è sincera quando dice che servirà qualche giorno per chiudere la crisi. Ci sarà un primo giro di colloqui formali con tutti i partiti, poi il cerchio si stringerà con i contatti limitati alle forze che hanno mostrato la disponibilità a sostenere il governo. E qui le capacità mediatorie di Renzi conosceranno il loro primo banco di prova. Alfano sarà il primo ostacolo, perché teme di finire stritolato nella morsa fra Renzi e Berlusconi. Che qualcosa di più del dichiarato ci sia lo si capisce dalla veemenza mai vista prima con cui il vicepremier uscente attacca per la prima volta il suo ex maestro. Quella frase scandita cinque volte “inutili idioti intorno a Berlusconi” costituisce una specie di dichiarazione di guerra che assume una logica solo pensando che vi sia del vero nelle voci, ufficialmente smentite, di un possibile “soccorso azzurro” pronto a rendere inutile l’apporto dei senatori del Nuovo Centro Destra.
Alfano, insomma, attacca prima di finire circondato. Obiettivo minimo, far uscire allo scoperto eventuali intese per un’astensione di Forza Italia o addirittura per il sostegno di una pattuglia di senatori, sotto la regia di Denis Verdini, uno che in toscano stretto pare che con Renzi si capisca molto. Fantapolitica, forse, scenari tutti negati, ma in politica ci sono tante smentite che non convincono e vengono fatte solo per ragioni tattiche.
Per ora l’affondo provoca solo un furibondo scambio polemico con Forza Italia, che scava un fossato fra due partiti che − prima o poi – dovranno sedersi intorno a un tavolo e discutere su come allearsi.
Certo ci sono anche le alchimie dei posti di potere da tenere in considerazione. Alfano vuol tenersi il doppio incarico di vicepremier e ministro dell’Interno, Lupi e Lorenzin vogliono restare rispettivamente alle Infrastrutture e alla Salute. Solo Quagliariello è pronto a fare un passo indietro, mentre il ministero delle Politiche agricole è già dato per perso, dal giorno delle dimissioni della De Girolamo.
Renzi rinvia l’incontro a dopo aver ricevuto l’incarico, come a voler ridimensionare il peso politico di Ncd. Ma Alfano pone anche un problema serio sul ministero della Giustizia, dove non vuole un magistrato.
C’è poi la casella bollente dell’Economia, dove il gioco dei veti incrociati tritura un candidato dopo l’altro. E Renzi sa che in quella casella chiave ha bisogno di un uomo di sua assoluta fiducia, tecnico o politico poco importa. Da non sottovalutare anche gli appetiti dei centristi: Scelta Civica, Popolari per l’Italia, Udc, socialisti e Centro democratico, tutti chiedono di essere rappresentati.
Ma un fronte inatteso potrebbe aprirsi sul fianco sinistro del Pd, e Renzi commetterebbe un grave errore nel sottovalutarlo. Il malessere che il voto contrario di Civati in direzione ha incarnato è concreto e reale, e potrebbe portare una pattuglia di senatori a non concedere la fiducia al suo governo. Nelle fila dei democratici si aprirebbe una difficile resa dei conti, ma a quel punto i trenta senatori alfaniani diventerebbero davvero insostituibili, e l’intesa su programma e squadra di governo con il vicepremier uscente diverrebbe una ineluttabile necessità.