L’asse Roma-Berlino potrebbe smuovere la acque europee. Da mesi si discute, concludendo poco e niente, degli strumenti di cui dovremmo dotarci a livello comunitario per far fronte alle insidie dei mercati e della crisi, e della potenza di fuoco da attribuire a tali strumenti. Pare che, nell’arco di poche settimane, sarà messo a segno un colpo in grado di accelerare notevolmente il processo. Da tempo sarebbero in corso trattative segretissime tra Angela Merkel e Mario Monti e i rispettivi sherpa (il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, il viceministro italiano Vittorio Grilli, il negoziatore della Merkel, Nikolaus Meyer-Landrut e il nostro ministro per gli Affari Europei, Enzo Moavero) per compiere un’operazione storica, solenne e clamorosa: far approvare al Parlamento italiano e al Buntestag tedesco, nello stesso giorno, nelle stesse ore, il Fiscal compact e il Fondo Salva Stati (EFSF).
Resta da capire se far coincidere i processi di ratifica sortirebbe, effettivamente, effetti apprezzabili sul pano dell’economia europea. Emilio Colombo, docente di Economia internazionale presso la Bicocca di Milano spiega a ilSussidiario.net che «considerando quanto sta accadendo in seno ai mercati, è impossibile prevedere con precisione come potrebbero reagire». L’operazione avrebbe un profondo significato politico. «In Europa si è ormai fatta strada la convinzione che se il rigore non sarà accompagnato da misure che possano sostenere la crescita, o che consentano ai paesi più indebitati di compiere un processo più graduale di aggiustamento, l’Ue resterà in balìa di forze disgreganti». Le due misure, prese singolarmente, non rappresentano di certo la soluzione. «Varate contestualmente, tuttavia, rappresentano un forte segnale rispetto alla strada da intraprendere. E lasciano intendere che la Germania in cambio del rigore (Fiscal Compact) è disposta a cedere sul fronte della possibilità di aiutare gli Stati maggiormente indebitati. Anche se dobbiamo tenere presente che l’esiguità del Fondo Salva Stati ne fa più un elemento simbolico che uno strumento in grado di tutelare realmente economie di grandi dimensioni».
In ogni caso, non si pensi che l’eventuale successo politico possa innescare percorsi particolarmente virtuosi. «Posto che Roma e Berlino riescano nel loro intento, il processo di ratifica definitiva da parte di tutti gli Stati membri dell’Ue durerà mesi, se non anni». Non solo: «Bisogna vedere se si riuscirà a mantenere le misure adottate. Anche il patto di Stabilità e crescita avrebbe dovuto garantire bilanci virtuosi. Ma fin da subito è stato violato. Proprio dalla Germania e dalla Francia. Le quali, quando è toccato agli altri trovarsi di fronte a situazioni analoghe, si sono mostrate intransigenti». In sostanza, «le esigenze di risanamento e del rigore nei bilanci sono giuste; tuttavia, data la situazione straordinaria, vanno contemperate con quelle della sostenibilità sociale che, anche nel corso dell’aggiustamento, va preservata. Per intenderci: a un Paese come la Spagna, dove la disoccupazione viaggia attorno al 20% e quella giovanile poco sotto il 50%, non si possono chiedere manovre ancora più dure di quelle che sta realizzando».
Sul fronte della crescita, nell’ambito della Commissione europea si sta mettendo a punto una sorta di nuovo Piano Marshall. L’idea è quella di mobilitare 200 miliardi di euro di risorse da investire in opere infrastrutturali, avvalendosi dell’emissione di project bond che favorirebbero investimenti finalizzati alla crescita. «L’ipotesi, potenzialmente, è positiva. Occorre capire, anzitutto, in cosa consisteranno gli investimenti. Uno degli obiettivi da perseguire è quello dell’abbattimento delle differenze tecnologiche. In Italia, ad esempio, siamo parecchio indietro rispetto all’accesso al digitale o sull’alta velocità».
Secondo il professore, «tutti gli investimenti che migliorano la produttività complessiva rappresentano importanti passi in avanti». Tuttavia, restano misure che, per quanto utili, non sono determinanti quanto la reale priorità dell’Unione: «L’obiettivo da centrare è quello dell’integrazione sociale, all’insegna degli Stati Uniti d’Europa; senza una condivisione di fondo su questo livello, non saranno sufficienti strumenti quali il Fiscal Compact, il Fondo Salva Stati o i Project Bond a impedire il disgregarsi europeo».