Dollaro a livelli record rispetto alla valuta europea. Ieri l’euro ha toccato la quotazione più bassa da metà novembre 2012. La moneta americana continua a salire ed è tornata al suo ruolo di valuta rifugio. Il dollaro non cresce soltanto rispetto all’euro, ma anche su yen, franco svizzero e sterlina. A contare però è soprattutto il fatto che l’euro decresce sul dollaro, in quanto per le imprese europee può significare una vitale boccata d’ossigeno per le esportazioni. Anche se per Claudio Borghi Aquilini, professore di Economia degli intermediari finanziari all’Università Cattolica di Milano, non c’è nessuna ragione per esultare.
Professore, l’euro debole rispetto al dollaro avvantaggerà le esportazioni delle imprese europee?
Uno studio del professor Alberto Bagnai misura le sensibilità dei diversi Paesi all’oscillare dei cambi. Nel caso dell’Italia emerge molto chiaramente che il cambio del dollaro è neutrale. Il nostro Paese importa energia pagandola in dollari, e il nostro export verso Paesi che pagano in dollari è soltanto una piccola parte delle nostro esportazioni totali. La migliore capacità di esportare verso questi Paesi che pagano in dollari, Stati Uniti in prima fila, si pareggia con le importazioni sotto forma di costi dell’energia.
Chi trae i maggiori benefici dall’euro debole?
Una svalutazione dell’euro rispetto al dollaro ha come principale beneficiario la Germania. Ancora una volta abbiamo una manovra che va tutta a vantaggio della Germania e non porta reali benefici per l’Italia. Il principale problema della valutazione sbagliata della nostra moneta è legato agli altri Paesi dell’euro. Ciò si ripercuote all’esterno dell’area euro, perché l’Italia ha una moneta sbagliata rispetto ai nostri concorrenti europei.
In che modo è possibile riequilibrare il cambio di Italia e Germania?
La strada più semplice è uscire dall’euro. In alternativa si può ricorrere a una forte inflazione locale della Germania. Se i prezzi tedeschi incominciano a salire del 10%, in tre anni abbiamo recuperato il gap. La terza strada possibile è la deflazione dell’Italia, che causerà una terribile disoccupazione e recessione, in modo tale che il costo del lavoro e della vita decrescano fino ai livelli della Grecia, e a quel punto si riprende a salire.
Secondo lei, quale strada è preferibile?
Senz’altro l’uscita dall’euro, anche perché la Germania non accetterà mai un’inflazione locale. Per questo ci fanno seguire la terza strada. Da un punto di vista teorico, un chiodo può essere piantato nel muro con il martello o con la testa. Il fatto che continuando a pestare con la fronte prima o poi si riesca a fare entrare il chiodo, non giustifica chi ricorre a questo sistema. Dopo che hanno distrutto la Grecia, ora la Trojka esulta perché ci sono dei leggeri miglioramenti. Ed è lo stesso che vogliono fare con l’Italia.
Ieri Mario Draghi era a Vilnius, dove ha detto: “Il modo con cui la Lituania si è impegnata per entrare nell’euro dimostra che, a dispetto delle difficoltà che alcuni Paesi membri hanno attraversato, la valuta unica resta attraente”. Lei che cosa ne pensa?
Ogni giorno sentiamo storie di imprenditori che delocalizzano in Bosnia, Serbia, Polonia e Lituania, Paesi presentati come esempi di efficienza e trasparenza. Andrebbe però ricordato che nessuno di questi Paesi allo stato attuale ha l’euro. Ci dicono che l’Italia non deve neanche pensare di uscire dall’euro perché altrimenti saremmo dispersi, isolati e incapaci di competere con una piccola valuta nazionale nel contesto globale. E contemporaneamente ci si indica come modello la Bosnia, che come valuta ha il marco bosniaco ed è un’economia microscopica.
E quindi?
Quindi questa è un’altra di quelle contraddizioni assurde del nostro sistema informativo. La stessa Lituania è un micro-Paese con una flat tax molto bassa e che finora, come peraltro la Polonia, ha prosperato grazie al fatto di essere fuori dall’euro. Ora che ci entra lo farà a sue spese.
(Pietro Vernizzi)