E’ una sorta di macigno sullo scenario politico italiano la riforma della legge elettorale, con una continua rimessa in discussione delle ipotesi che si possa realizzare, con le forze politiche che trattano o che, in alcuni casi, fanno forse finta di trattare. Si sa che c’è un grande impegno, costantemente ripetuto, da parte del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. C’è anche l’impegno del Presidente del Senato, Renato Schifani, mentre non si vede una identica volontà da parte del Presidente della Camera, Gianfranco Fini. E probabilmente proprio da questa diversa “voglia di intervenire”, c’è un aspetto da considerare nella trattativa lunga e complessa della riforma elettorale.
Leonardo Morlino è professore di Scienza politica nell’Istituto Italiano di Scienze Umane a Firenze ed è stato vicepresidente dell’International Political Science Association (Ipsa) dal 2006 al 2009. E’ un attento osservatore della politica istituzionale italiana ed europea.
Che cosa pensa di questa trattativa sulla riforma della legge elettorale, professor Morlino? Guardi, occorre necessariamente fare un premessa. La necessità di una riforma della legge elettorale nasce da una considerazione di fondo: quella di evitare la frammentazione politica che è in atto. Si tratta di un dovere, di una necessità per il sistema politico e istituzionale italiano. Il problema che si pone è che però questa riforma possa passare solo attraverso l’accordo delle due forze politiche principali: quello che resta del Pdl e del Pd. Ora, visto e considerato quale è lo stato dell’attuale situazione, si può pensare anche al peggio. Vale a dire che non se ne farà nulla, che non avverrà nulla. E’ un timore, ma credo che sia un timore fondato.
Si sta discutendo di questo premio di maggioranza, di un dieci percento da assegnare al partito che arriva primo. Un premio di maggioranza è necessario. Certo può apparire manipolativo, ma mi sembra che possa rispondere a delle esigenze di governabilità. Anche guardando ai sistemi elettorali di altri Paesi ci sono tecniche e accorgimenti che favoriscono, attraverso premi di maggioranza, la possibilità di governare. Ma il fatto principale, al momento in Italia, è che ci vuole l’accordo tra il Pdl e il Pd, le due forze principali, questo accordo è il presupposto indispensabile. Ci dovrebbero anche essere due leadership forti per portare a un accordo di questo tipo. Al momento io credo che il Partito democratico, una volta fatte le primarie, possa ricompattarsi ed esprimere un leader forte. E’ più problematico il quadro interno al Pdl. In questo momento è difficile fare previsioni su quel partito, se sarà di Berlusconi o di Alfano.
C’è da fare un’altra considerazione, professore. Stando ai sondaggi, anche con un premio di maggioranza del dieci percento, l’Italia rischierebbe di non essere governata.
Il rischio è reale. Ormai i sondaggi sono talmente attendibili che possono sbagliare al massimo di un due o tre percento. Quindi se una coalizione ottiene un risultato sotto il 40percento, anche il premio di maggioranza stabilito diventerebbe inefficace. Io credo che si possa governare raggiungendo un risultato elettorale intorno al 42 percento. A quel punto un premio di maggioranza sarebbe giustificato.
Anni fa si diceva che non si può governare un Paese con solo il 51 percento dei consensi. Oggi il contesto è differente. Credo che si possa governare anche con una semplice maggioranza sopra il 50percento. Ma occorre un accordo forte. Vedo che molti sono impegnati su questa riforma elettorale, dal Presidente della Repubblica, al Presidente del Senato. C’è anche una posizione più defilata da parte del Presidente della Camera. Comprendere quale partita stiano giocando su questa riforma elettorale anche altri partiti, come una possibile aggregazione dei centristi, diventa piuttosto complicato.
(Gianluigi Da Rold)