Il Papa, da Lamezia Terme, è tornato ad auspicare «una nuova generazione di uomini e donne capaci di promuovere non tanto interessi di parte, ma il bene comune». Si tratta della stessa espressione che Benedetto XVI aveva usato nel 2008 a Cagliari, incitando per la prima volta i cattolici a dar vita a una «nuova generazione» che si impegnasse a livello sociale e politico.
Questo significa, se capiamo bene, due cose almeno. Una: che la generazione che ha retto in questi anni le sorti del Paese non è stata capace di servizio al bene comune. Due: cha a tre anni da quell’appello iniziale le cose non sono cambiate, se il Pontefice ha sentito il bisogno di ripeterlo pari pari.
Sia chiaro: tanto a Cagliari tanto in Calabria il Papa non parlava tout court di impegno politico, ma più in generale di impegno sociale, ai vari livelli. In ogni caso una stagione sembra chiudersi, definitivamente. Quella in cui i cattolici si sono cullati nell’idea che potevano risparmiare tempo e denaro nell’impegno pubblico, perché tanto c’era già in campo “uno” che vi avrebbe messo tutto il suo tempo e che di denaro ne aveva parecchio in grado di far risparmiare a tutti noi gli oneri relativi, sì da poterci occupare ciascuno di cose ritenute più importanti, o urgenti. Ma ora “ghe pensi mi” non basta più, anzi ci si accorge tardivamente che non poteva bastare. Quando la frittata è fatta, il tempo è passato, il Paese è sempre più disgregato e per di più sull’orlo del baratro. Senza che una riforma strutturale sia stata proposta, e senza che un euro sia stato stanziato a sostegno delle due cellule vitali che reggono il Paese: la famiglia e la piccola impresa.
Di fronte al tentativo un po’ patetico che si va diffondendo nel centrodestra di alzare il ditino per marcare le differenze (facile farlo oggi che persino Fabrizio Cicchitto parla di “carisma offuscato” del Capo) fa più simpatia la tenace difesa dell’indifendibile, alla Bondi-maniera per intenderci: almeno sa di lealtà, di coerenza nel fortino assediato. In ogni caso il risultato non è destinato a cambiare: il berlusconismo non conosce riforme dal basso ma solo auto-riforme, e bene fa Angelino Alfano a chiarire una volta per tutte che il sogno inconfessabile di molti (un berlusconismo senza Berlusconi) non è praticabile.
Dunque: niente larghe intese, e nemmeno governi del presidente. Dobbiamo tenerci questo finché durerà, faremo in tempo a seguire anche il congresso di Scilipoti, (sì, sul serio, informatevi bene) che di questa alleanza è perno essenziale, dopo aver già visto sorgere innumerevoli partitini nel centrodestra in pochi anni (con un dubbio che resta: ma chi li finanzia questi nuovi partiti con la crisi che c’è?).
Ma nonostante tutto in molti, alcuni in buona fede, pensano ancora che una nuova fase del centrodestra possa essere avviata anche con un Berlusconi ancora regnante. Ma, temo, non facciano i conti col grado di disaffezione della gente comune verso questa classe dirigente non a torto simboleggiata dall’attuale presidente del Consiglio per il ruolo egemonico che ha assunto in questo quasi-ventennio dalla discesa in campo. E poi, che speranza c’è di progettare il futuro sotto l’egida di un premier ossessionato dalle inchieste e dalla giustizia e che pensa ancora di poter scherzare sulle questioni che hanno messo alla berlina lui e con lui l’intero Paese? Altri invece, nel centrodestra, pensano di potersi smarcare ora, ma forse è troppo tardi, e l’onda rischia di travolgere anche loro.
Che cosa o chi potrà smuovere le acque, allora? E’ incredibile, ma purtroppo solo il più astratto e astruso dei temi sembra poterci riuscire. Parlo della legge elettorale. Un recente sondaggio di Mannheimer ha evidenziato una realtà impensabile solo qualche mese fa: la maggioranza degli italiani la ritiene una priorità. Dunque non solo un’elite sazia e politicizzata, ma anche ceti popolari con il fine mese in “rosso” si appassionano al tema del sistema di voto: un segnale evidente del distacco crescente fra popolo e Palazzo, e di un’onda montante della protesta, volta a cambiare il meccanismo di selezione della classe dirigente. La marea di firme che ha accompagnato la proposta abrogativa di questa legge in vigore ha portato alla luce questa realtà, e ora ci sarà da attendere il verdetto della Consulta: se darà il via libera al referendum e se indicherà il ritorno al Mattarellum come risultato della richiesta abrogativa.
In ogni caso siccome è stata messa in discussione la “fabbrica” stessa delle poltrone (la legge elettorale) lo scossone si avverte già, nel Palazzo: ci sono timori, attese e speranze a seconda della parte politica. Pier Ferdinando Casini si è schierato per andare al voto con questa legge elettorale. Una mossa a sorpresa, impopolare, ma a ben vedere se ne capisce la ragione: chiusa da parte di Casini ogni possibilità di intesa con l’attuale centrodestra ancora saldamente berlusconizzato non è che dall’altra parte l’intesa sia semplice con Di Pietro, Vendola & co. E allora, ecco che c’entrano di nuovo i sondaggi: se è vero che il Terzo polo (Udc più Fini e Rutelli) è stimato saldamente sopra il dieci per cento, superando al Senato in tutte le regioni la soglia dell’otto per cento dell’attuale legge sarebbe in grado di far scattare seggi ovunque, con altissime possibilità di diventare decisivo a Palazzo Madama.
Cosicché se la sinistra manterrà il vantaggio attuale (il divario sembra incolmabile per il centrodestra senza l’apporto del Terzo polo) lo scenario più verosimile con questo sistema di voto è una vittoria della sinistra alla Camera, con relativo super-premio di maggioranza previsto, mentre al Senato diventerebbero decisivi Casini & co, di qui l’uscita a sorpresa del leader dell’Udc.. Per cui l’ipotesi più probabile sarebbe in tal caso: o una convergenza prima del voto di Bersani e Casini su un nome di gradimento comune (Mario Monti) o una convergenza dopo il voto, magari sullo stesso nome, per uno stato di necessità, cioè per evitare la paralisi nelle Camere.
Va senza dire che solo una situazione così sfilacciata e confusa fra le opposizioni consente di restare a galla a un governo che non è stato ancora in grado di adottare misure per la crescita urgentissime (salvo a meditare l’ennesimo condono a giorni alterni), e a un presidente del Consiglio che si lamenta di non avere poteri e non esercita nemmeno quello che ha di indicare il nuovo Governatore di Bankitalia.
Ma non durerà a lungo questa situazione, il ciclone del referendum farà saltare gli attuali precari equilibri e ognuno sarà costretto a rivedere i suoi conti. Qualcuno, come si è visto, pensa che tutto sommato sarebbe meglio andare votare con questa legge, per evitare un accordo Pd-Pdl sulla legge elettorale finalizzato a spazzare via tutti gli altri. Ma una nuova generazione di politici dediti al bene comune potrà mai scaturire da un sistema come l’attuale che toglie al popolo il diritto di scegliere i suoi rappresentanti? E potrà mai essere patrocinata da un governo che – salvo rare eccezioni – consegna scenari da notte della Repubblica?