Dopo aver regalato quattro giorni di palcoscenico ai 5 Stelle, Matteo Salvini venerdì ha battuto un colpo. Luigi Di Maio è stato più svelto a conquistare la ribalta sull’onda della vittoria: io a Palazzo Chigi, il governo senza di noi non si fa, eccetera. E il centrodestra a mormorare, senza alzare la voce, che il programma più votato era il loro. Di Maio cerca intese “con chi ci sta” e strizza l’occhio al Pd, se non altro perché è la coppia Gentiloni-Padoan, ancora al governo, che entro il 10 aprile dovrà presentare il Documento di economia e finanza: i due lo firmano ma non possono farselo bocciare dal Parlamento. A quel punto Salvini ha rotto il silenzio: in questa fase così fluida, che continuerà almeno per altri 15 giorni fino alla convocazione delle nuove Camere, non conviene lasciare il pallino soltanto ai grillini. Il leader leghista non ha raccolto l’assist da Di Maio, ma ha proposto lui al Pd post-renziano un possibile accordo politico su alcuni temi chiave.
Finito lo show grillino, è cominciata una partita a ping pong tra i vincitori delle elezioni. Per ora siamo ancora alla tattica, alle prime mosse guardinghe per capire come è messo in campo l’avversario e quale sarà il suo schema di gioco. I due si annusano ma non si fidano. E probabilmente studiano, al di là dei proclami d’obbligo per mantenere galvanizzate le truppe, come schivare l’incarico di formare un governo che, almeno al momento, non avrebbero grandi opportunità di formare. E di fare il passo indietro senza che appaia tale. Per ora meglio che a Palazzo Chigi resti sua tristezza Paolo Gentiloni, a sbrogliare le questioni che nessuno dei vincitori vuole assumersi la responsabilità di affrontare: i rapporti con l’Europa, gli equilibri di bilancio, le aliquote Iva, l’ipotesi di nuove tasse quando uno ha promesso di abbassarle al 15 per cento e l’altro di distribuire assegni di cittadinanza a mezzo Paese.
Gli unici che hanno parlato di responsabilità sono Mattarella e Berlusconi. Sembra che il Cavaliere non sia così deciso a puntare sulle elezioni anticipate se il centrodestra non riuscisse a formare un governo. D’altra parte era lui il garante delle regole europee, l’argine ai populismi, il portabandiera dei moderati e non può permettersi di rovesciare subito il tavolo. Meglio tenere aperti i canali di dialogo sia con il Pd che con i 5 Stelle. Ma anche il livello di responsabilità va tenuto monitorato per non subire con il prossimo governo lo stesso scotto pagato per avere “responsabilmente” appoggiato il governo Monti. Si erano chiamati “responsabili” anche gli alfaniani usciti da Forza Italia per sostenere i tre governi della scorsa legislatura, e sono rimasti in quattro gatti con una pattuglia di seggi ottenuti in collegi uninominali strasicuri.
La responsabilità a volte è un lusso. E allora avanti piano. Dietro le quinte si cercano accordi innanzitutto per la presidenza delle Camere. Salvini è disposto a votare un grillino e vorrebbe che il favore fosse ricambiato. Nomi non ce ne sono ancora, ma tra le ipotesi (che anche Berlusconi avallerebbe) ce n’è una clamorosa: le due poltrone potrebbero andare ai due leader. Di Maio alla Camera e Salvini al Senato si toglierebbero dall’impasse per Palazzo Chigi e assumerebbero entrambi un ruolo istituzionale che ne limiterebbe parecchio le derive populiste. Un incarico di prestigio e al contempo una “gabbia” di sicurezza per placare l’ansia delle cancellerie europee. Certo, l’accordo Lega-M5s sarebbe difficilmente ripetibile per un governo, ma per quello c’è altro tempo: le consultazioni al Quirinale cominceranno soltanto ai primi di aprile, dopo le vacanze di Pasqua.