Un intervento di riforma che succede ad un altro intervento di riforma, come è accaduto tra la riforma Castelli e la riforma Mastella, può portare a delle distorsioni che poi nel sistema sono difficili da assorbire. Detto questo, mi pare che la riforma abbia degli aspetti sui quali certamente si può intervenire, ma che abbia anche il vantaggio di aver consolidato una situazione sulla quale lavorare per riportare tutto ad un sistema ordinato e sufficientemente omogeneo. Io non sono del parere, per esempio, che la normativa sugli spostamenti dei direttivi dopo gli otto anni debba essere ulteriormente modificata, perché penso che la magistratura abbia realmente bisogno di un rinnovamento anche di classe dirigente e, in questo senso, la riforma motiva adeguatamente questa esigenza. Lei pensi alle incrostazioni che nel tempo si sono prodotte con la perpetuazione di presidenze, per esempio, di sezioni, di tribunali e di procure, che durano venti, venticinque anni. Credo poi che le valutazioni di professionalità indicate nella riforma siano un primo passo di serietà e di responsabilizzazione, anche dell’ordine giudiziario, sul quale vale la pena di fare una scommessa e una prova.
Guardi, sulle carriere dei giudici, dipende da cosa si intende; la riforma dell’ordinamento giudiziario è appunto un tentativo di razionalizzazione delle carriere e dell’organizzazione giudiziaria. Se per riforma delle carriere dei giudici intendiamo le valutazioni di passaggio da una qualifica professionale ad un’altra – e credo voglia porre l’accento sulla necessità che ci sia serietà e severità di valutazione dei profili professionali – allora non posso che essere d’accordo con lei: nel fare carriera ciò che si deve premiare è la professionalità e la capacità di gestione soprattutto per quel che riguarda i capi degli uffici, e non l’appartenenza a questo o quel gruppo.
Sul tema della giustizia penale ci sono due versanti, a mio avviso, sui quali è necessario interrogarsi con onestà intellettuale. Credo che il primo sia quello di chiedere con forza, e finalmente, una buona riforma del codice penale e una razionalizzazione del codice di procedura penale, che è passato dal sistema inquisitorio al sistema accusatorio mantenendo, però, dei profili che possono ancora considerarsi del vecchio sistema. E questo è solo l’aspetto di carattere più generale. Bisognerebbe poi rivedere tutto il sistema sanzionatorio in generale.
Un altro elemento fondamentale è appunto quello della certezza della pena, una volta che si sia accertata la responsabilità del soggetto inquisito. Credo che il problema stia anche qui nel recupero di efficienza e mi riferisco ai tempi del processo. Esiste però un problema culturale profondo e sul quale si deve ricominciare a riflettere: la ri-legittimazione rispetto alla società del giudizio penale, con il superamento da un lato della vendicatività e dall’altro con l’accettazione da parte dei cittadini, perché valutata giusta, della pretesa punitiva dello Stato nei confronti dei colpevoli.
Il giudice, nel nostro ordinamento, è autonomo e indipendente, e però è responsabile nei confronti dello Stato per l’esercizio corretto e coerente del suo ufficio. La responsabilità va strettamente coniugata con la professionalità. Debbono comunque esservi anche all’interno del corpo stesso della magistratura strumenti che puniscano gli aspetti deteriori dei comportamenti dei giudici, dall’eccesso all’incapacità di gestire il processo. A volte, l’opinione pubblica è disorientata e nei cittadini si suscita disaprovvazione e disaffezione rispetto alla ricerca della verità giudiziaria. Io credo che un corpo giudiziario serio e coerente debba avere fortissimo il senso della responsabilità e la disponibilità ad accogliere ogni critica, se vuol rivendicare autonomia e indipendenza.
Per quanto riguarda la giustizia civile, è quello che lei mi sta chiedendo, sono del parere che occorra rimettere mano rapidamente al sistema dei riti. Non è possibile, infatti, che nel nostro ordinamento ci siano diciotto o diciannove riti, che causano grande confusione e perdita di tempo, e soprattutto creano al cittadino difficoltà nel richiedere l’intervento dell’autorità giudiziaria, tanto più se appaiono strumentali alle esigenze di coloro che hanno torto e vogliono procrastinare nel tempo le conseguenze dei loro comportamenti.
Sono convintissima che occorra però, anche in questo settore, riorganizzare il nostro sistema non solo attraverso i riti, ma anche attraverso una più severa e sicura specializzazione delle materie di competenza delle singole sezioni o dei singoli magistrati. Così che all’interno di quella determinata specializzazione le strade siano più agevoli e chiare per tutti, anche per i difensori. Ho visto che nel vostro Manifesto si fa riferimento al rito del lavoro. Certamente questo può essere un esempio, ma comunque, quale che sia il rito che si sceglie, è necessario che sia uno solo. Che esso sia quello del codice di procedura civile ordinario piuttosto che quello della sezione del lavoro, l’importante è che abbia tempi certi, che ci sia all’interno del processo un comune intendimento, del giudice e delle difese tecniche, di giungere alla soluzione corretta di quel conflitto, e infine che non si consentano né possano essere richiesti intollerabili allungamenti di termini processuali che non giovano a nessuna delle parti in giudizio.
Da parte mia, sto procedendo ad un riordino di tutto il settore civile – secondo le linee che ho indicato in modo grossolano – e penale del Tribunale di Milano. Emblematico è soprattutto il settore penale: basti pensare che negli anni passati, per mancanza di personale, si era arrivati ad imporre ai giudici penali di fare meno udienze e comunque di concluderle entro le ore 14 del pomeriggio. Questa logica di appiattimento rispetto alle difficoltà operative è stata ribaltata: si è riorganizzato il personale per consentire che le udienze continuassero anche al pomeriggio, cercando di razionalizzare le risorse esistenti.
Penso, infatti, che la capacità di organizzazione di un piccolo o di un grande tribunale sta nella costruzione di un sistema che utilizzi al meglio le risorse, anche le più modeste, naturalmente privilegiando i settori di maggiore sofferenza. Vede, oggi si parla molto di sicurezza, ma spetta anche all’ordine giudiziario dare un segnale di attenzione su questo versante che condiziona la qualità della vita delle persone.
Com’è noto, tutte le mattine si svolge il rito delle udienze direttissime, cioè dei processi che i giudici fanno – e a rotazione sono impegnati tutti i giudici del penale – per coloro che vengono arrestati durante la notte o che hanno una permanenza di 24-48 ore in carcere in attesa del giudizio. Bene, tutto questo si svolge, nel palazzo di giustizia, in una bolgia infernale, nella quale al mattino si può vedere di tutto, perfino qualche piccolo traffico che riguarda difese strappate dall’uno o dall’altro dei difensori o accuse improvvisate da parte di coloro che sostituiscono i pubblici ministeri. Tutto questo spegne la speranza nella giustizia: è invece attraverso questi processi immediati che si può dare una risposta di contrasto al crimine di strada finalmente percepita dai cittadini come attenzione alle proprie esigenze di sicurezza.
Abbiamo posto così mano alla risistemazione delle aule, munendole di computers e di telefoni interni. Coloro che arrivano al mattino e coloro che sono stati fermati durante la notte avranno, tra pochi giorni, un salone a loro disposizione nei piani sotterranei, munito di telefono, cosicché i giudici potranno chiamare una per volta le persone fermate o arrestate per farle entrare nelle tre aule messe a disposizione per questi processi. Entro la fine dell’anno vi sarà una sala d’attesa per i familiari e una sala per gli avvocati, che devono poter consultare il loro cliente fuori dall’inevitabile “mercato” che si crea in una situazione come quella nella quale si svolgono attualmente le udienze. Non si deve più vedere calpestata la dignità di individui che hanno sbagliato e che dovranno pagare, con celerità e con certezza, se riconosciuti colpevoli.
Quanto più però viene rispettata la dignità delle persone, tanto più assume significato l’accertamento della responsabilità, la sanzione irrogata e in generale l’attività di contrasto alla criminalità. Spero che tutto ciò si realizzi rapidamente e possa rappresentare un piccolo segnale di speranza che indichi un percorso alla nostra comunità: si può e si deve contrastare il crimine, senza dismettere la nostra capacità di umanità e di attenzione alle persone.
Credo che la crisi della giustizia non sia solo crisi di efficienza, anzi mi sento di dire che si tratta di una vera e propria crisi delle coscienze nell’accettazione che sia delegata al giudice, attraverso la decisione sul conflitto, la valutazione sul bene e sul male. La ricerca della soluzione più vicina al bene, cioè l’avvicinamento alla verità, è una ricerca purtroppo assai difficile, per il solo fatto che lo strumento che si utilizza è formale e giudiziario. Noi dobbiamo cercare di avvicinarci alla verità, sapendo che ciò che possiamo ottenere dal giudizio è la “verità processuale”, verità parziale e per sua natura anche fallace, ma forte deve essere la nostra aspirazione a quella che io chiamo la verità assoluta, quella appunto del bene. Sono fortissimamente convinta che un richiamo delle coscienze di tutti – magistrati, avvocati, cittadini – a questi temi, per ritrovarne l’essenza al di là delle partigianerie, sarebbe fondamentale per rilegittimare, nell’esercizio concreto, il senso di giustizia che alberga nel cuore delle persone.