Fitch, l’agenzia di rating, ha detto ieri di non attendersi a breve fusioni o acquisizioni fra Popolari italiane: neppure dopo che Ubi Banca, sabato scorso, ha rotto il ghiaccio e si è trasformata in Spa. Eppure i rumor in Piazza Affari si moltiplicano e non è escluso che nei prossimi giorni possano essere confermati da qualche notizia: come ad esempio – si sussurra – una nota congiunta fra la stessa Ubi e il Banco Popolare. Un annuncio di apertura di colloqui preliminari, prevedibilmente attraverso advisor. Non rappresenterebbe necessariamente una smentita a Fitch e agli attendisti di Borsa.
L’avvio di colloqui fra le due maggiori Popolari (quarta e quinta banca del Paese) non sarebbe obbligatoriamente sinonimo di fusione a breve, anzi. Sarebbe anzitutto una blindatura reciproca a termine. Ubi Spa – per quanto già dotata di alcuni azionisti stabili rilevanti – terrebbe lontane attenzioni sgradite (per la vigilanza – anche accentrata presso la Bce – le Opa ostili su banche restano ancora problematiche). Il Banco Popolare – che preso tempo a tutto il 2016 per la trasformazione in Spa – allenterebbe invece molte pressioni: a cominciare da quella ad accelerare con l’adozione della riforma al fine di alzare il valore del titolo in Borsa per l’effetto-contendibilità. Ma non solo: la crisi delle due Popolari venete (Vicenza e Veneto Banca) è ormai una sorta di spina nel fianco per il gruppo presieduto da Carlo Fratta Pasini. Non passa giorno, infatti, che soprattutto il mondo politico locale e nazionale si appelli alle due grandi istituzioni veronesi – il Banco e la Fondazione CariVerona – per intervenire nei due riassetti necessari nel Nord-est.
Il governatore Luca Zaia (che ha nel trevigiano la sua roccaforte) ha lanciato un balzo in avanti: fusione Vicenza-Veneto, ma ovviamente appoggiandosi al Banco e non escludendo di agganciare l’intera costruzione alle Fondazioni del Nord-est (CariVerona e Caripadova-Rovigo). L’ipotesi – peraltro – è sembrata piacere anche a Pierpaolo Baretta, Pd veneto oggi sottosegretario al ministero dell’Economia.
La situazione attorno alla Popolare di Vicenza resta tuttavia in stallo. Nel fine settimana il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, aveva lanciato segnali relativamente tranquillizzanti dall’assemblea Fmi di Lima. Aveva definito il caso “parente leggero” di quello più ampio delle sofferenze bancarie da smaltire attraverso la bad bank. Aveva difeso la correttezza della vigilanza della Banca d’Italia, rintuzzando alcuni “equivoci” sorti attorno all’inchiesta aperta dalla Procura di Vicenza, che ha portato sul registro degli indagati il presidente Gianni Zonin.
Aveva precisato (in un modo che non ha peraltro convinto tutti i tecnici) che soltanto il cambio di regole di supervisione da parte della Bce ha portato alla problematicità delle azioni Bpvi comprate con prestiti dalla stessa banca. Aveva in ogni caso confermato che la Popolare, dopo il cambio di management e il lancio di un aumento di capitale da 1,5 miliardi, sta in piedi sulle sue gambe.
Una visione oggettivamente meno facile della situazione è stata invece confermata, ieri sera, dopo che l’amministratore delegato della Popolare, Francesco Iorio, è stato ricevuto dal sindaco di Vicenza, Achille Variati, accompagnato dalla giunta. “Un incontro importante il manager è conscio della situazione e merita fiducia”, ha detto Variati, sindaco di centrosinistra ed ex funzionario di banca. Ma ha aggiunto: “Se non riuscirà l’aumento di capitale ci è stato detto che la banca di fatto morirà”. Di qui la “fiducia” espressa dalla giunta al manager, che ha nuovamente promesso di voler incontrare i soci “in assemblee pubbliche”. Ma di assemblee, in provincia di Vicenza, se ne stanno susseguendo da settimane.
Centinaia di soci stanno studiando azioni di tutela mano a mano che diventa meno incerta la prospettiva di forti perdite da parte di tuti i 117mila azionisti della banca: quelli che in teoria sarebbero chiamati a sottoscrivere la ricapitalizzazione. Anche “Il Giornale di Vicenza”, principale organo di informazione della città e della provincia, ha ipotizzato una svalutazione dell’azione dai 48 euro nominali correnti a 16 euro: sarebbe questo il possibile valore di emissione delle nuove azioni (ma altre stime sono meno generose).
Fino allo scorso maggio il titolo valeva nominalmente 62,5 euro. Sicuramente alcuni soci lo hanno acquistato a questo prezzo (alcuni indebitandosi con la banca), ora tutti sono impossibilitati a venderlo anche a 48: la Popolare di Vicenza non è quotata in Borsa e non può certo ricomprare azioni o anche solo intermediarle. L’aumento di capitale ha la garanzia importante di UniCredit e – al momento – resta in calendario per la primavera, dopo la trasformazione in Spa della banca e con la prospettiva della quotazione in Borsa. Ma nei fatti tempi e modi del turnaround restano indefiniti.
A Vicenza più di qualcuno immagina un aumento di capitale non preceduto dalla quotazione e forse addirittura seguito dall’approdo al listino solo a distanza di tempo: per attutire il più possibile il taglio del valore, favorire il buon esito dell’aumento e pilotare l’atterraggio meno duro possibile in Borsa. Ma il punto di vista dei vecchi investitori non può essere ovviamente quello dei nuovi: che invece sarebbero rassicurati da una quotazione preliminare in Borsa, al fine di far emergere un valore trasparente del titolo. Se questo avvenisse prima dell’aumento di capitale è tuttavia prevedibile un crollo marcato del valore al listino e come conseguenza il massimo impatto dell’aumento nel diluire la vecchia compagine proprietaria, dando spazio alla nuova.