Dunque la campagna d’estate di Matteo Renzi sul fronte bancario europeo si è conclusa con un insuccesso. L’unica “concessione” è stata preannunciata dal presidente dell’European Banking Authority, Andrea Enria: lo stress test in arrivo il 29 luglio non distinguerà in termini stretti fra “promossi” e bocciati” e – soprattutto – non farà cifre. Non sarà un pagellone punteggiato di numeri in rosso: i miliardi di euro che le diverse banche misurate sarebbero obbligatoriamente chiamate a reintegrare nei propri patrimoni (non è andata così né in occasione del test Eba del dicembre 2011, né in quello Bce del novembre 2014).
A ben vedere, tuttavia, si tratta di concessioni nominalistiche, “virtuali” e non sorprende che ad annunciarle sia un semplice tecnocrate, per di più italiano e notoriamente vicino al presidente (italiano) della Bce, Mario Draghi. E poi Enria ha parlato il 19 luglio: la controprova – non solo le banche italiane – ci sarà solo fra otto giorni. E in Italia tutti ricordano ancora – ad esempio – il totale smarrimento della Banca d’Italia quando, all’avvio dell’Unione bancaria, il Montepaschi venne messo alla gogna europea, mentre nessun cenno minimo venne fatto ai problemi di bilancio della Deutsche Bank. I conti veri, banche italiane dovranno farli con la Vigilanza Bce: quella che ha messo per iscritto all’Mps il diktat di smaltimento di 10 miliardi di sofferenze, di fatto subito.
Le concessioni vere avrebbero potuto giungere a livello politico solo dalla Commissione europea: anzitutto dal commissario all’Antitrust Margarethe Verstager. Che – nonostante la linea del dialogo mostrata dal presidente Jean-Claude Juncker – ha chiuso nella sostanza alle richieste italiane di deroghe alla normativa bail-in sugli aiuti di Stato sui salvataggi bancari. Il Tesoro italiano non avrà dunque alcuna possibilità di mettere in sicurezza Mps – ad esempio attraverso un aumento di capitale sottoscritto o garantito dallo Stato – evitando contraccolpi sui portatori di 5 miliardi di bond subordinati del gruppo senese. Di qui – ieri mattina – i nuovi rumor sul possibile break up di AntonVeneta dal Monte: con possibile destinazione Ubi (che peraltro ha subito smentito per evitare pressioni in Borsa).
La rivendita di AntonVeneta – la cui acquisizione nel 2007 è alla base della crisi strutturale di Mps – è in effetti sul tavolo da almeno quattro anni: da quando la chiamata di Alessandro Profumo alla presidenza di Siena sembrava suggerire la terapia del ridmensionamento, tuttavia sempre tacitamente respinta dagli assetti di controllo del Monte, incentrati su una storica Fondazione municipale “monocolore Pci-Pds-Ds-Pd”.
Se per Mps si profila quindi una nuova soluzione “di sistema” (prevedibilmente costosa come le quattro risoluzioni di Etruria & C e i due salvataggi di Popolare di Vicenza e Veneto Banca via Atlante) per Renzi il bilancio politico è nettamente in perdita. Il sistema bancario italiano resta instabile (anche se ieri S&P ha confermato il rating a UniCredit) e soprattutto il potere diplomatico italiano in Europa resta nullo. La scommessa ingaggiata dal governo italiano nell’immediato dopo-Brexit – con l’usuale spregiudicatezza – non ha scalfito in nulla il rigore tedesco: nonostante l’ostentata partecipazione di Renzi al summit con Angela Merkel e Françpis Hollande, una parvenza di nuovo “direttorio” della Ue mutilata della Gran Bretagna.
Né dev’essere suonata tranquillizzante o di buon auspicio, ieri mattina sul Corriere della Sera, l’intervista a George Soros: nella quale il mai dimenticato mogul di Wall Street, speculatore contro la lira, ha sentenziato che l’Italia è “debole” e che è bene che Renzi pensi “a un compromesso”.