Anche oggi mi tocca parlare di Stati Uniti e di rischi derivanti dallo sfondamento del tetto di debito e per farlo devo riproporvi poche righe del mio articolo di martedì. Gli Usa non hanno mai fatto default sul loro debito e sia i Democratici che i Repubblicani continuano a ripeterci che non vogliono che questo accada ora: peccato che il livello di divisione tra i due partiti riguardo le misure per colmare il deficit abbia reso ponderabile ciò che fino a poco fa era addirittura impensabile.
Il governo Usa, oggi, prende a prestito circa 42 centesimi di ogni dollaro che spende, ma provate a immaginare se, un giorno non troppo lontano, il tasso di prestito schizzasse contro il livello corrente di limite di debito, ovvero 14,3 trilioni di dollari e il Congresso non riuscisse ad alzare quest’ultimo. Il danno che creerebbe questa situazione non solo contagerebbe l’intera economia Usa, ma anche i mercati globali. A quel punto un default si concretizzerebbe se il governo fallisse nell’ottemperare ai doveri di un’obbligazione finanziaria, incluso il ripagare un prestito o l’interesse su quel prestito.
Siamo a questo punto? Non ancora, ovviamente. Ma il ceiling sul debito, ovvero il tetto massimo, sarà toccato il 16 maggio prossimo, ha confermato il Dipartimento del Treasury. A differenza di quanto accaduto due settimane fa con l’accordo in extremis al Congresso per evitare la chiusura di molte istituzioni federali, in questo caso il “giorno del non ritorno” potrebbe essere dilazionato fino al prossimo luglio, viste anche le capacità creative di gestione dei libri contabili Usa. Ma, come già detto, l’imponderabile oggi è da prendere in considerazione. Se non si concretizzasse quell’aumento, il governo potrebbe arrivare al punto di dover tagliare drasticamente la spesa in altri settori per garantirsi fondi al fine di riuscire a emettere e allocare nuovi T-Bills e bonds alle peggiori condizioni imposte dai mercati: detto fatto, questa contrazione colpirà i pagamenti dei contractors federali, la sicurezza sociale e altri pagamenti governativi, ad esempio gli stipendi dei lavoratori federali.
Il costo del credito salirebbe, dai prestiti d’affari a quelli al consumo fino ai mutui immobiliari, al finanziamento e alle carte di credito e il dollaro si deprimerebbe ulteriormente, rischiando davvero di perdere il suo status di valuta di riserva mondiale (spalancando le porte del proscenio economico globale allo yuan cinese). Non è un caso che proprio il capo della Fed, Ben Bernanke, abbia definito il potenziale fallimento nell’innalzamento del limite di debito «un evento stronca-ripresa», capace inoltre di affossare i mercati e colpendo così metà dei cittadini statunitensi che detengono titoli. A quel punto la Cina e gli altri paesi che detengono la metà delle securities statunitensi potrebbero cominciare a scaricarle oppure a chiedere interessi sempre maggiori, facendo deteriorare ulteriormente lo stato di salute del debito per pagare quei rendimenti: un circolo vizioso devastante.
A confermarlo ci ha pensato un’inedita e sconvolgente lettera spedita al segretario del Tesoro, Timothy Geithner, dal presidente del Treasury Borrowing Advisory Committee, Matthew E. Zames, un vero e proprio grido di dolore e un ultimo appello prima dell’imponderabile. Per Zames, «ogni possibile ritardo nel pagamento di cedole o interessi da parte del Treasury, anche per un limitato periodo di tempo, porrebbe il Treasury e i mercati finanziari in generali in un territorio di incertezza e potrebbe dar vita a un’altra catastrofica crisi finanziaria. È impossibile conoscere l’impatto totale di una crisi simile sulla crescita globale e sui costi di finanziamento del Treasury. Comunque sia, le lezioni della recente crisi suggeriscono che ci saranno diverse conseguenze devastanti, non ultimo l’innalzamento dei costi di finanziamento a lungo termine del Treasury e l’aumento del carico di costi sui contribuenti americani. Queste conseguenze potrebbero nascere da cinque sviluppi che potrebbero concretizzarsi se il Treasury farà default sulle sue obbligazioni come risultato del fallimento di una politica di innalzamento del limite di debito».
Quali sono questi sviluppi? Primo, gli investitori stranieri, che detengono circa metà del debito del Tesoro, potrebbero ridurre i loro acquisti di Treasuries su base permanente e potenzialmente vendere alcune delle loro holdings esistenti. Se gli investitori stranieri cominceranno a tagliare i loro investimenti in Treasuries come risultato di un default, i tassi del Tesoro e i suoi costi per il prestito saliranno indubitabilmente. Un aumento di 50 punti base del tasso del Tesoro potrebbe costare ai contribuenti americani 75 miliardi di dollari in più all’anno.
Secondo, un default del Tesoro o un prolungato ritardo nell’innalzamento del tetto di debito potrebbe portare a un downgrade del rating del credito sovrano Usa. Il fatto che Standard&Poor’s abbia rivisto l’outlook da “stabile” a “negativo” ci indica che c’è una possibilità su tre che Standard&Poor’s opererà un downgrade del rating Usa nei prossimi due anni. Uno dei motivi di questo cambio di outlook è il rischio materiale che i politici Usa non siano in grado di raggiungere un accordo su come affrontare le sfide di budget del medio e lungo termine: un default o un ritardo nell’innalzamento del tetto di debito potrebbe quindi essere percepito come un’indicazione di accresciuta incapacità politica di giungere a essenziali riforme fiscali di lungo termine. Le conseguenze di un downgrade di rating sarebbero significative, con un potenziale di crescita dei tassi del Tesoro di un punto percentuale pieno per ogni notch di downgrade.
Terzo, in caso di default del Tesoro, almeno un fondo sarà costretto a bloccare i riscatti e visto che gli investitori di money funds sono primariamente interessati alla liquidità overnight, anche l’ipotesi che un solo fondo blocchi i riscatti potrebbe scatenare una corsa sui money funds. Tale evento creerebbe una crisi severa, colpendo duramente i mercati e costringendo il Treasury e la Fed a un backstop simile a quello nato dalla crisi del 2008. Un tale aumento degli impegni off-balance sheet del Tesoro potrebbe essere valutato negativamente da investitori e agenzie di rating, portando con sé un’ipotesi di downgrade dei rating sovrani Usa.
Quarto, un default del Tesoro potrebbe danneggiare severamente il suo mercato di finanziamento da 4 trilioni di dollari, evento che potrebbe portare a un rapido e netto aumento dei tassi di prestito per alcuni partecipanti del mercato e possibilmente portare a un altro evento di deleveraging. E siccome i Treasuries sono stati storicamente visti come l’asset mondiale più sicuro, sono ampiamente usati come collaterale a livello globale e puntellano una larga parte dei mercati finanziari. Un default potrebbe innescare un’ondata di call sui margini e un ampliamento degli haircurs sul collaterale, evento che potrebbe portarci a ulteriore deleveraging e un netto crollo dei prestiti.
Quinto, l’aumento dei costi per il prestito e la contrazione del credito che potrebbero avvenire come risultato di questo evento di deleveraging potrebbero avere conseguenze devastanti per l’ancora fragile ripresa dell’economia Usa. La conservatorship decisa dopo la crisi del 2008, ad esempio, ha portato a un ampliamento degli spread sui mutui dell’1,5%, sostanziatosi in un automatico aumento dei costi dei mutui per i consumatori. Un simile aumento dei tassi del Tesoro potrebbe impattare in modo avverso sulla crescita economica, spingendo potenzialmente gli Stati Uniti di nuovo in recessione.
Inoltre, visto che i rischi sul lungo termine di un default sono così seri, un prolungato ritardo nell’aumento del tetto di debito potrebbe impattare negativamente sui mercati ancora prima che il default accada davvero. Questo perché gli investitori porranno in essere azioni di gestione del rischio in preparazione del potenziale default. Per esempio, coloro i quali prendono a prestito facendo affidamento a mercati di finanziamento a breve termine potrebbero tentare di pre-finanziarsi o detenere liquidità in eccesso durante il mese di luglio, distorcendo i tassi del mercato monetario.
C’è poi un altro problema che grava sul Tesoro Usa e, soprattutto, sui Treasuries: i primi due round di quantitative easing, infatti, sono stati una manna per l’azionario, ma negativi per i bonds. Durante un periodo di gravi timori di deflazione, la Fed è entrata in azione e ha cominciato a pompare denaro nel sistema attraverso l’acquisto di Treasuries, ribaltando un trend di declino dei prezzi obbligazionari attraverso l’extra cash che ha inondato il sistema. Ora il grosso punto interrogativo riguarda il futuro prossimo, ovvero se quando a giugno terminerà il QE2 si verificherà una svendita nel mercato obbligazionario che porterà con sé un innalzamento dei costi di prestito per il governo federale e i proprietari di casa americani.
«Quando a giugno la Fed bloccherà il suo programma di acquisto di bond governativi, una larga parte dell’attuale domanda sparirà. La Fed ha comprato il 60% di tutti i Treasuries trattati nel quarto trimestre del 2010», conferma Alessandro Bee, analista presso la Sarasin di Zurigo citato da Cnbc. Ma se la Fed smetterà di comprare debito Usa, qualcun’altro dovrà subentrare al suo posto: un qualcosa però non di così automatico visti i timori per la sostenibilità del deficit federale evidenziati dal downgrade di outlook operato da Standard&Poor’s.
Certo, i grandi paesi esportatori potrebbero continuare a investire il loro surplus commerciale verso gli Usa, anche per mantenere basse le loro valute rispetto al dollaro, ma la situazione è davvero seria. Quando un regolatore interno alla Fed, gestito di fatto da JP Morgan Chase e Goldman Sachs, manda una lettera come quella descritta prima al segretario al Tesoro, significa che il futuro è davvero in bilico. L’America è in default tecnico, le sue stesse istituzioni lo certificano.