“Il governo ritiene che si debba concludere rapidamente la discussione sulla riforma delle Banche di credito cooperativo per poter varare entro l’anno, come richiesto dalla Commissione europea, un decreto che sia largamente condiviso”. Lo ha detto il sottosegretario all’Economia Pierpaolo Baretta in un seminario congiunto indetto ieri dalle commissioni Finanze della Camera e del Senato. Una sorta di sollecito bipartizan da parte del Parlamento al Governo: a Palazzo Madama la commissione è guidata da Mauro Marino (Pd), a Montecitorio da Maurizio Bernardo (FI). “È un anno che si discute della riforma”, ha riconosciuto Baretta, che ha promesso “una rapida conclusione”: raccomandando ancora “il massimo dell’unità e della condivisione”.
Una sottolineatura di sostanza, quasi a spiegare il perché a metà ottobre il Tesoro non abbia ancora emanato un decreto atteso già per l’inizio di settembre: dopo che Federcasse aveva puntualmente approvato il proprio progetto di autoriforma a fine luglio. Un ritardo che aveva suscitato l’apprensione dei vertici nazionali.
“L’Unione Bancaria, e forse soprattutto il mercato globale, esigono oggi una forza ancora maggiore e non può che essere una forza unitaria. Noi l’abbiamo! E non è soltanto una voce di bilancio, come per altri, ma il frutto di centotrent’anni di storia e di storie in comune”. Così il presidente di Federcasse, Alessandro Azzi, nell’intervento d’apertura, ha ribadito senza minime esitazioni l’opzione senza alternative contenuta nel progetto di autoriforma su cui il consiglio generale si è pronunciato a maggioranza schiacciante: un gruppo unico nazionale per il Credito cooperativo nazionale; un percorso di modernizzazione strutturale di una mutualità antica ma – ha ricordato Azzi – resistente ed efficiente anche dopo il primo tuffo in Europa (con il Testo unico del 1993). “La frammentazione – ha scandito con forza – non solo indebolirebbe tutto il sistema e affievolirebbe la capacità di stare sul mercato, ma porterebbe anche a una nefasta concorrenza interna e al rischio di escludere una parte delle Bcc (quella più debole). L’unità del sistema, invece, integrando un più efficace presidio del rischio, una razionalizzazione dei costi, una dimensione maggiormente idonea ad attrarre capitali esterni, una rilevante capacità di investimento, appare – oltre che una condizione di coerenza storica – un presupposto irrinunciabile di sostenibilità e di competitività nel medio/lungo periodo”. Ogni alternativa appare rischiosa: “Stabilità e competitività che non possono essere mantenute e garantite se la Capogruppo non è in grado di gestire (anche facendosene carico) la dinamica ‘patrimoniale’ delle 371 Bcc italiane – che incide sul loro sviluppo così come sulle loro difficoltà – assicurando, al contempo, i necessari investimenti in prodotti e servizi evoluti”.
Una sola “biodiversità territoriale” resta prevista fin dall’inizio nel progetto Federcasse: che “il sistema delle Casse Raiffeisen dell’Alto Adige possa costituire, nel rispetto delle particolarità culturali e lingustiche radicate in quel territorio, un proprio gruppo provinciale, il quale potrà eventualmente fare sistema con il Gruppo Cooperativo unitario stipulando appositi contratti di solidarietà e di servizio”.
A Bolzano potrebbe essere basato un “sottogruppo” l’ha chiamato – a voce, durante il seminario parlamentare – il capo della Vigilanza della Banca d’Italia Carmelo Barbagallo: non ancora con il valore di un’ipotesi tecnica formalizzata, ma certamente come proposta impegnativa, chiaramente finalizzata ad agevolare la ricerca dell’unico tassello ancora mancante al puzzle dell’autoriforma.
Se infatti un “sottogruppo” è immaginabile nell’Alto Adige – Provincia autonoma di una Regione a Statuto speciale – potrebbe sorgere anche nel gemello Trentino: cioè nell’énclave forse più forte e strutturata sulla mappa del Credito cooperativo italiano. È la componente che ancora deve entrare nella “condivisione finale” dell’autoriforma già sottoscritta da tutte le altre federazioni territoriali. Ed è un mondo – quello che ruota attorno all’Unione e alla Cassa centrale di Trento- che non ha rinunciato a tenere sul tavolo l’opzione di un riassetto policentrico. Giunge a questo punto la prima ipotesi risolutiva ventilata da via Nazionale in quello che è sembrato un confronto pubblico finale fra tutte le parti in gioco: due “sottogruppi” agganciati al Gruppo Nazionale.
Barbagallo ha in ogni caso ritenuto opportuno richiamare un vincolo costituzionale, anche per giustificare come nelle conclusioni del suo intervento agli atti compaia ancora il plurale “gruppi”: un’indicazione stretta sul “gruppo unico” nel decreto – ha avvertito – potrebbe creare “problemi” con i poteri riconosciuti in campo bancario dallo statuto autonomo della Regione Trentino-Alto Adige, somma delle due uniche Province autonome italiane. Una situazione che – sempre informalmente – secondo la Banca d’Italia non esclude in linea di principio la nascita di un gruppo bancario distinto da quello nazionale: ma – ha sottolineato Barbagallo – questa entità non potrebbe avere operatività fuori regione. Di conseguenza sembra esclusa ogni “campagna acquisti” presso Bcc di altre regioni, mentre pare trutture bancarie e associative del credito cooperativo nelle due province.
Su tutto il restante pacchetto dell’autoriforma – almeno confrontando gli interventi di Azzi e Barbagallo – è difficile trovare differenze, mentre è puntuale trovare sintonie e convergenze: certamente sulla motivazione di politica creditizia che ha spinto lo scorso gennaio il governo al decreto sulle Popolari Spa, che ha innescato il pressing per l’autoriforma Bcc. L’uscita dalla grande crisi bancaria e la nuova supervisione nell’eurozona chiedono alle Bcc un salto di qualità nella governance e nella solidità del sistema, in particolare sul versante patrimoniale. Di qui i cardini del progetto di autoriforma uscita dal confronto fra Federcasse, Bankitalia e Tesoro: Bcc non più “monistiche” ma collegate da una rete di corresponsabilità e di presidi di gruppo all’insegna della “meritevolezza”; una capogruppo Spa, quotata in Borsa e aperta (fino al 49%) a nuovi soci, fra i quali Azzi ha subito chiamato gli attuali soci delle Bcc (1,2 milioni) e “investitori pazienti e vicini alla solidarietà intergenerazionale propria del Credito cooperativo” (riferimento trasparente alle Fondazioni bancarie).
Cliccando qui potrete trovare l’interverto integrale del Presidente Federcasse, Alessandro Azzi, e cliccando qui quello del Capo Dipartimento Vigilanza della Banca d’Italia, Carmelo Barbagallo, al Seminario istituzionale sulla riforma delle banche di credito cooperativo organizzato congiuntamente dalle Commissioni Finanze di Senato e Camera.