Matteo Renzi ha presentato la squadra dei ministri. Annunciata alle 16, la lettura dei nomi è arrivata attorno alle 19, dopo circa due ore e mezza di confronto con Giorgio Napolitano. Qualcosa deve essere andato storto: nomi sostituiti all’ultimo? Resistenze del presidente della Repubblica di fronte alle personalità indicate? Nel nuovo esecutivo, al posto di Mario Mauro alla difesa ed Emma Bonino agli Esteri – fortemente voluti dal Colle – il premier ha indicato rispettivamente Roberta Pinotti e Federica Mogherini. Quello che si sono detti Renzi e Napolitano è un mistero: per cercare di indagare i retroscena abbiamo contattato Luciano Ghelfi, caporedattore del Tg2.
Due ore e mezza di colloquio prima di sciogliere la riserva. Non è andato tutto liscio…
Penso che sia una sorta di record; non ricordo in tutte le crisi di governo alle quali ho assistito un colloquio tanto lungo tra il presidente del consiglio incaricato e il presidente della Repubblica, nemmeno nei momenti più complicati come furono, per esempio, quelli della formazione del primo governo Berlusconi, nel 1994, quando Previti fu spostato dalla Giustizia alla Difesa…
Qualche nome secondo lei è stato cambiato all’ultimo?
È indubbio ed evidente che ci sia stato qualche problema sulla lista dei ministri. Il presidente della Repubblica lo ha fatto presente e per questo è servito tempo per sciogliere i nodi.
Napolitano non voleva “cedere” forse su nomi quali Bonino e Mauro, fortemente voluti nell’esecutivo Letta?
Sì, com’è anche possibile che su altri nomi circolati in questi giorni il Quirinale abbia fatto valere la ragione d’opportunità in relazione, per esempio, a qualche altra personalità. Per esempio Mauro Moretti, visto il processo che ha in corso per il gravissimo incidente ferroviario di Viareggio, non era il caso che diventasse ministro. Quindi, sia in entrata che in uscita c’è stato qualche intoppo. Poi…
Poi?
Credo che sino all’ultimo sia ballata la casella sulla Giustizia (Andrea Orlando è il nuovo Guardasigilli, ndr).
Attriti, più o meno forti, tra Renzi e Napolitano dunque?
Tutto fa pensare che tra i due ci siano state parecchie “incomprensioni”. Di sicuro c’è stato un lavoro molto grosso di mediazione e probabilmente inatteso da entrambi.
Napolitano non ha parlato con Renzi al fianco e andando via ha sostanzialmente detto che, pur sperando che il governo faccia il suo lavoro e duri, la mano sul fuoco non ce la mette…
In realtà, per quanto riguarda la lettura dei nomi della squadra di governo, la liturgia è stata esattamente identica: sia Renzi che Letta hanno presentato i ministri da soli. In un secondo momento, è vero, a differenza di Renzi Letta uscì di nuovo con Napolitano, che parlò. È chiaro che il capo dello Stato l’esecutivo Letta lo sentiva più suo, mentre questo governo gli appartiene molto meno: la sua presa di distanze la leggo in questo modo.
Ci dobbiamo aspettare, nel prossimo futuro, le dimissioni di Giorgio Napolitano?
Non nell’immediato. Però il tema è all’ordine del giorno, sia per l’età anagrafica del presidente – che a giugno compie 89 anni – sia perché si è aperta una nuova fase politica. Ecco, tutto sta a vedere se questa fase politica nuova prenda il volo o meno. Diciamo chiaramente, comunque, che Napolitano – quando accettò il secondo mandato – non si aspettava certo una situazione del genere; la sua rielezione era infatti legata al patto di larga coalizione che portò al governo Letta. Ora le cose sono diverse. Di quell’architettura restano in piedi solo le riforme: se le riforme incominciassero a marciare, Napolitano potrebbe allora rimanere al comando, altrimenti…
Il Nuovo Centrodestra mantiene tre ministeri, ma si può parlare di un governo monocolore Pd?
Sarebbe sbagliato perché dopo una battaglia durissima, tre ministri con portafoglio su tredici sono stati conservati, e sono ministeri rilevanti. Certo, un minimo di ridimensionamento è innegabile: la mancanza dei gradi di vicepremier per Alfano è una diminutio. D’altronde lui rappresentava il PdL, che aveva una consistenza parlamentare di molto superiore al Ncd. Ora sta a loro, con tre uomini di peso nel governo, far valere i propri argomenti: si giocano tutto e non possono permettersi di sprecare tempo.
Ma Renzi ha la maggioranza in Parlamento?
La maggioranza numerica per far partire il governo c’è sicuramente. I principali problemi, semmai, è probabile che li abbia in casa propria, dove ci sono svariati mugugni. Quindi dovrebbe incominciare a controllare le cose dentro il suo partito, perché in un Pd che sembra la vecchia Democrazia cristiana non appena si è fatto un premier c’è qualcuno che lavora per sfilargli la poltrona.
(Fabio Franchini)