Con un intervento quanto meno inatteso il Presidente della Repubblica ha scritto al sen. Vizzini, Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, manifestando “profonde perplessità” sulla decisione della Commissione di prevedere la sospensione dei processi penali anche per il Presidente della Repubblica.
Vita dura e terribile ha il cosiddetto lodo Alfano, che dovrebbe portare a disporre un filtro tra il potere politico e quello giudiziario, attraverso la “sospensione” dei processi riguardanti le più alte cariche dello Stato durante il mandato di svolgimento delle loro funzioni costituzionali, al fine di assicurare il “sereno svolgimento delle rilevanti funzioni che ineriscono a quelle cariche” (così si è espressa la Corte Costituzionale n. 24 del 2004).
La sospensione è stata originariamente prevista dalla legge 140 del 2003 dichiarata incostituzionale dalla sentenza della Corte Costituzionale 24 del 2004; riproposta (con le modifiche indicate nella precedente sentenza di incostituzionalità) nella legge 124 del 2008, a sua volta dichiarata incostituzionale dalla sentenza 262 del 2009, in quanto – trattandosi di “prerogative costituzionali o immunità in senso lato” – sarebbe inidonea la legge ordinaria a disciplinare la materia. La sospensione del processo penale nei confronti del Presidente della Repubblica e del Consiglio dei Ministri, oltre che dei Ministri è quindi confluita in un apposito disegno di legge costituzionale, in discussione alla Commissione Affari Costituzionale del Senato (A.S. n. 2180).
Nella seduta del 13 ottobre scorso è stato approvato l’emendamento che definisce l’art. 1, comma 1, della legge costituzionale, in tali termini: “al di fuori dei casi previsti dagli articoli 90 e 96 della Costituzione, i processi nei confronti del Presidente della Repubblica o del Presidente del Consiglio dei Ministri, anche relativi a fatti antecedenti l’assunzione della carica, possono essere sospesi con deliberazione parlamentare secondo le disposizioni della presente legge costituzionale”.
All’indomani dell’approvazione dell’emendamento in Commissione, il Presidente Napolitano – come detto – rende pubblica la propria perplessità per la sospensione dei processi così come prevista anche per il Presidente della Repubblica.
Essa – scrive – “incide, al di là della mia persona, sullo status complessivo del Presidente della Repubblica riducendone l’indipendenza nell’esercizio delle sue funzioni. Infatti tale decisione che contrasta con la normativa vigente risultante dall’art. 90 Cost. e da una costante prassi costituzionale, appare viziata da palese irragionevolezza nella parte in cui consente al Parlamento in seduta comune di far valere asserite responsabilità penali del Presidente della Repubblica a maggioranza semplice anche per atti diversi dalle fattispecie previste dal citato art. 90”.
Ma qual è la natura e l’effetto dell’intervento del Capo dello Stato?
Formalmente si tratta di un atto non identificabile in nessuna delle funzioni specifiche del Presidente della Repubblica (non rientrando né negli atti sostanzialmente presidenziali né in quelli formalmente presidenziali).
Semplicemente non è previsto alcun intervento da parte del Capo dello Stato nel procedimento di legge costituzionale disciplinato dall’art. 138 Cost. (adozione da parte di ciascuna Camera con due successive deliberazioni ed approvazione a maggioranza assoluta; sottoposizione a referendum, dietro richiesta qualificata). Dopo il referendum, sarebbe difficile per il Presidente della Repubblica non procedere a promulgazione. Anche con riguardo all’istituto del rinvio della legge alle Camere ai sensi dell’art. 74 Cost., è stata sottolineata dalla dottrina la sua difficoltà applicativa ad un procedimento speciale come quello della legge costituzionale, che viene comunque esclusa in ipotesi di intervenuta approvazione popolare.
Il Presidente della Repubblica quindi non ha posto in essere un intervento rientrante nelle funzioni costituzionali “tipizzate”, bensì ha esternato e resa pubblica una propria posizione di contrarietà rispetto al provvedimento di legge costituzionale, ancora in fase di esame da parte della commissione parlamentare.
L’intervento è autorevole e previsto dalla prassi costituzionale regolante i rapporti tra organi costituzionali; ma – lo si dice per mera ipotesi esplicativa – potrebbe essere del tutto disatteso dal Parlamento, senza alcuna conseguenza costituzionale specifica (non potrebbe neppure sollevarsi – ritengo – una ipotesi di conflitto tra i poteri dello Stato davanti alla Corte Costituzionale, anche in considerazione della natura di legge costituzionale del provvedimento da promulgare, di grado pari ordinato alla stessa costituzione la cui tutela dovrebbe guidare l’azione del Capo dello Stato).
Va anche sottolineato che la preoccupazione di Napolitano non sembra essere così dirompente, neppure rispetto all’odierna carta costituzionale.
Il lodo Alfano si applica “salvo quanto previsto dall’art. 90 Cost.”, ossia per i reati commessi fuori dall’esercizio delle sue funzioni. Difatti, il Capo dello Stato è già “irresponsabile” per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento e per attentato alla costituzione.
Ciò significa che la previsione del lodo Alfano, e quindi la sospensione dei processi “con deliberazione parlamentare” secondo la dizione contestata da Napolitano, si applica ai soli casi di reati comuni commessi dal Presidente. Ciò che il Presidente pare contrastare non è affatto la previsione in sé del lodo, bensì le modalità stabilite, ossia la valutazione parlamentare sulla sospensione dei processi relativi a reati comuni da lui commessi; valutazione parlamentare che potrebbe rappresentare quella “riduzione dell’indipendenza nell’esercizio delle sue funzioni” contestata da Napolitano e trasformarsi in un giudizio politico sul Presidente.
Ma – si ripete – si tratterebbe in tale ipotesi di decidere se sospendere processi relativi a fatti che non c’entrano nulla con la funzione presidenziale esercitata e che attualmente, senza lodo, produrrebbero comunque la sottoposizione del Presidente a processo. Il che avrebbe comunque, egualmente, un indubbio riflesso politico (basti pensare all’unico caso ad oggi verificatosi, quello relativo al Presidente Leone, che diede le dimissioni, e fu poi assolto in sede giudiziale).
Peraltro la sospensione prevista dal lodo Alfano (e quindi la contestata valutazione parlamentare) è pur sempre prevista come rinunciabile dal diretto interessato, lasciando quindi l’ultima parola al processo come avviene attualmente.
Viceversa, in assenza di lodo, le sorti dell’organo costituzionale dipendono interamente dalla magistratura, in quanto – come è già stato sottolineato dalla dottrina – il Presidente è perseguibile anche durante il settennato, non occorre l’accusa parlamentare per i reati comuni da lui commessi ed è quindi sufficiente l’iniziativa di un qualunque ufficio di P.M. (Crisafulli – Paladin, Commentario breve alla costituzione, Cedam, 1990, p. 558).
Il lodo odierno interviene – solo qualora il Presidente interessato lo voglia – a sospendere il processo per il settennato.
In sostanza, pur rimarcando le perplessità sollevate dal Presidente in ordine alla valutazione parlamentare sulla sospensione dei processi per reati comuni del Presidente, peraltro rinunciabile, e concordando che sarebbe meglio lasciare la scelta di sospensione del processo direttamente al Presidente, non pare che la questione possa definirsi uno stravolgimento delle basi della Costituzione (come pure è stato detto).
D’altra parte, il disegno di legge del lodo Alfano è un disegno di legge costituzionale, con il quale ben si possono precisare, con la procedura rafforzata prevista, i contenuti della Costituzione (tranne le parti ritenute – da parte di alcuni costituzionalisti – irrivedibili).
Ciò premesso, a fronte di questo limitato effetto giuridico-costituzionale, deve invece sottolinearsi un’altra ben più importante conseguenza, di carattere politico-costituzionale: quella di contribuire ad aggravare ulteriormente, forse in maniera definitiva, il percorso di formazione e di approvazione del lodo costituzionale.
Questo pare l’effetto reale dell’intervento del Presidente della Repubblica (e sotto questo aspetto può cogliersi una sproporzione tra le reali motivazioni della lettera ed i risultati che ad essa sono di fatto conseguenti.
La questione sollevata dal Presidente della Repubblica è proposta per una esigenza di tutela degli equilibri tra gli organi costituzionali (investendo il campo delle prerogative reciproche), ma rischia di essere percepita e strumentalizzata come l’ennesima arma di contrasto politico nei confronti di un provvedimento liquidato a priori come legge ad personam; non solo dall’opposizione (che ha parlato di “mostro giuridico che mira allo stravolgimento delle basi della nostra costituzione repubblicana”, capogruppo PD in Commissione Giustizia alla Camera), ma anche dal gruppo di Fini che – pur dopo aver più volte dichiarato di essere d’accordo con il disegno di legge costituzionale – oggi torna a cavalcare l’onda della censura dicendosi “contrario alla reiterabilità della sospensione per più mandati”.
E’ forse anche per queste considerazioni che Berlusconi, all’indomani della lettera di Napolitano, fa sapere che la legge non è stata una sua iniziativa, ma una proposta del partito: “il lodo Alfano porta con sé un meccanismo farraginoso per l’approvazione e in questo modo serve soltanto a dare fiato alle polemiche strumentali dell’opposizione”. La riforma della giustizia “è un progetto che mi interessa e che non si fermerà, ma senza il lodo, che verrà invece ritirato”.
I senatori proponenti, Gasparri e Quagliarello, annunciano modifiche al testo, dichiarando che “l’ipotesi formulata – come autorevolmente rilevato – potrebbe incidere negativamente sulla indipendenza della funzione del Capo dello Stato, perché in ipotesi la sottoporrebbe a giudizio politico. Pertanto, ci faremo carico di sollecitare la Commissione Affari Costituzionali affinché l’ipotizzata misura dell’autorizzazione parlamentare venga soppressa dalla proposta di legge in discussione”.
Staremo a vedere cosa succederà.