Ve lo dico da settimane, ora ci siamo. Il redde rationem greco è alle porte. Nel momento in cui chiudevo e inviavo questo articolo in redazione, l’Eurogruppo sul destino di Atene era ancora in corso, ma fin dal primo pomeriggio era chiaro il netto dissenso tra Fmi e Ue sul cosiddetto report e sui suoi contenuti, ovvero sulle reali possibilità che la Grecia possa raggiungere una ratio debito/Pil “sostenibile” al 120% nel 2020. Ma, al netto dei numeri e delle cifre, è un altro il motivo di rottura, ovvero quanto costi continuare a mantenere in vita artificialmente l’economia ellenica e chi debba pagare per questa operazione.
La questione sulla ratio debito/Pil, però, non è di poco conto: se infatti l’insostenibilità di questo parametro sarà eccessiva, ovvero lo stimato 145% del Fmi – contro il 125-130% stimato dall’Ue -, il Fondo guidato da madame Lagarde si chiamerà fuori dal programma di salvataggio, scaricando la sua quota di fondi da stanziare sui paesi europei, i quali quindi vedranno aumentare a dismisura l’esborso per Atene. Di più, se anche passerà la linea europea e il Fmi resterà a bordo del bastimento di salvataggio, è più che probabile che si debba procedere a un nuovo swap, questa volta anche sulle detenzioni della Bce.
La Germania, attraverso la Bundesbank, punta a prendere tempo e rimandare il più possibile un nuovo esborso per i suoi contribuenti, la Bce non vuole sentir parlare di write-offs sul debito e il Fmi sembra stanco di paracadutare dollari nel pozzo senza fondo greco. La situazione, insomma, è a dir poco confusa: senza il report della troika non si sblocca la nuova tranche di aiuti, ma per avere il via libera al report occorre trovare un compromesso tra Ue e Fmi. Insomma, impasse totale.
Nel frattempo, però, stamattina Atene dovrà presentarsi sul mercato per cercare di piazzare 3,125 miliardi di titoli a breve termine (2,125 miliardi a quattro settimane e 1 miliardo d tre mesi) per finanziarsi ed evitare il default, visto che i soldi degli aiuti non arriveranno a breve e le casse statali sono letteralmente vuote. Insomma, il rischio – da un giorno all’altro – di un default disordinato sta crescendo a dismisura, anche e soprattutto per l’incapacità di politici, tecnici e regolatori di scendere a patti.
Inoltre, a fronte di sempre più richieste di rigore e rientro nei parametri di ratio debito/Pil, se si continua a costringere Atene a presentarsi sul mercato per raggranellare soldi con emissioni d’emergenza e a tassi completamente fuori mercato, non si fa altro che creare nuovo debito e quindi appesantire quelle percentuali che si vorrebbe mettere a dieta. Ringraziamo, per tutto questo e per quanti altri soldi ci costerà Atene, Angela Merkel e la sua ferrea volontà di voler salvare Deutsche Bank e il suo portafoglio obbligazionario da hedge funds sottocapitalizzato, prendendo tempo a dismisura e trasformando un problema risolvibile quattro anni fa con 320 miliardi di euro, in una potenziale sfida per la tenuta stessa dell’eurozona e della moneta unica.
In compenso, cari lettori, quelle raffinate menti che albergano in Europa hanno dato vita alla Tobin Tax, capolavoro di populismo da quattro soldi che si tradurrà in una fuga dalle piazze finanziarie che la adotteranno – vedi Milano, già ventesima nella classifica europea – e in un paradossale regalo alla speculazione. Non a caso, i trader italiani ieri hanno proposto al governo un’alternativa alla Tobin Tax, la quale, stando proprio agli operatori, colpirà duramente i privati cittadini, senza bloccare però la speculazione.
Dopo aver visionato la proposta, Elio Lannutti, senatore dell’Idv e presidente Adusbef, pare intenzionato a presentare un emendamento al governo. La bozza, stilata su iniziativa dell’Ifma, l’Associazione di trader e consulenti finanziari che si riuniscono a Rimini, prevede due novità chiave rispetto all’ipotesi dell’esecutivo: una tassazione separata tra mercati regolamentati e non e l’applicazione della tassa a tutti i soggetti che compiono le operazioni, non solo ai residenti in Italia. In concreto, gli operatori propongono una tassazione fissa di un euro per eseguito o contratto su azioni e derivati (invece dell’aliquota variabile dello 0,05% su entrambi gli strumenti) e una tassa dello 0,05% sui mercati non regolamentati Otc (over the counter), mossa che «permetterà di colpire maggiormente i grossi investitori, soprattutto esteri, spesso responsabili della speculazione», ha spiegato Biagio Milano, uno dei promotori dell’iniziativa.
Il problema, infatti, non sono i mercati ma la loro opacità e disfunzionalità. E, ancora una volta (mettetevi l’anima in pace, questa battaglia non smetterò di combatterla fino a quando non si farà qualcosa), a creare le condizioni per una bolla di mercato spaventosa ci stanno pensando gli algoritmi del trading ad alta frequenza, i quali non solo sono ormai padroni dell’azionario e del mercato delle commodities, ma ora sono sbarcati in grande stile anche nel forex, tanto da essere stati chiaramente beccati a manipolare il mercato utilizzando la piattaforma di trading Reuters FX. E la stessa Reuters, stilando i dati delle sue piattaforme trading, ha evidenziato che i volumi spot sul trading riguardo valute estere sono scesi del 23% nel mese di ottobre rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Il volume giornaliero medio in ottobre è stato di 120 miliardi di dollari, contro i 155 miliardi dell’ottobre 2011 e i 133 miliardi del mese di settembre 2012. Ma il calo non si è registrato solo per Reuters, lo stesso risultato è stato evidenziato anche da Ebs, la piattaforma di trading del broker Icap. Per Reuters la ragione è una sola: la crescente frustrazione tra chi opera per lo strapotere di algoritmi ad alta frequenza sulle principali piattaforme. Insomma, volumi sempre maggiori di trading sul Forex sono ormai solo una guerra tra computer superveloci e algoritmi complessi intenzionati unicamente a scoprire con un gioco di specchi come ottenere un minimo margine su cui speculare alla velocità di millisecondi, con i traders retail chiusi ai margini di un mercato che possono soltanto subire, divenendo i polli da spennare.
La bassa volatilità, poi, gioca anch’essa la sua parte e da più parti si comincia a pensare che qualcuno di molto potente – leggi una banca centrale – stia muovendo il mercato delle calls sull’indice Vix di volatiltà – vendendone come se non ci fosse un domani – per generare risultati riflessivi rispetto al fatto che tutto è a posto nell’economia, tutto è fissato. Il problema è che così non è, il mercato è mosso solo da macchine e arriverà il giorno in cui un flash crash non controllabile darà vita a una vera scoperta dei prezzi su cui si sta operando, facendo esplodere la bolla generata in questi mesi.
A quel punto, potrà tornare il trading reale. Ma quanto sarà rimasto del mercato?