Più che una preoccupazione, era un sussurro intimorito: “e se Napolitano non dovesse farcela?”. L’eventualità era del tutto inverosimile, certo, ma chissà; in questi giorni ci siamo abituati al fatto che al peggio non c’è mai fine. Alla sesta votazione, invece, tutto è andato come doveva andare. Più che altro, si è evitato lo sfacelo. Non si può dire altrettanto del Pd. Il commento di Francesco Rutelli.
C’era un’alternativa alla rielezione di Napolitano?
E’ l’unica carta di riserva degna ed autorevole rimasta dopo la catastrofe del Pd.
Cosa può averlo convinto?
Ha preso atto del fatto che, dopo i due disastri delle candidature di Marini e di Prodi, affossate dai Franchi tiratori del Pd, ce ne sarebbe stato un terzo.
L’accordo prelude ad un governo di larghe intese?
Prelude, anzitutto, ad un incarico da parte di Napolitano ad una personalità, quale potrebbe essere Amato, sostenuta da una maggioranza il più ampia possibile; indubbiamente, costituita dai partiti che lo hanno riconfermato al Colle.
I partiti rappresenteranno solo la base parlamentare del governo, o alcuni dei suoi esponenti ne faranno parte?
Questo sarà Napolitano a deciderlo, e sarebbe sbagliato interferire nel suo operato. Credo, tuttavia, che sarà necessaria la presenza di ministri politici. Per evitare l’errore del governo Monti. Il quale ha fatto bene nella prima fase di stabilizzazione economico-finanziaria, e di interlocuzione nell’Europa; ha fatto male nella seconda (basti pensare alla gestione del caso di marò), per mancanza di esperienza e qualità politica nella compagine governativa.
Presumibilmente, il lavoro dei saggi diventerà la base programmatica del prossimo governo?
E’ ragionevole pensare che concorrerà al programma. Benché non siano da prendere come oro colato, molti degli argomenti in esso contenuti corrispondono alle priorità del Paese. Mi riferisco, in particolare, alla necessità di porre rimedio al degrado dell’apparato amministrativo burocratico, oggi ai minimi in termini, attraverso una radicale semplificazione.
Perché la ritiene una priorità?
Pensiamo ad un’altra fondamentale urgenza: lo sblocco dei crediti vantati dalle piccole e medie imprese nei confronti delle pubbliche amministrazioni. Ebbene, il decreto emanato dal governo, di fatto, è inapplicabile perché i passaggi che esso comporta risultano estremamente lunghi, farraginosi e, spesso, non affrontabili a causa dei difetti e delle inefficienze del suddetto apparato.
Veniamo al Pd. Lei ha parlato di catastrofe.
Il temporeggiare di Bersani ha distrutto il partito: prima, ha tentato un accordo imbarazzante con Grillo, senza rendersi conto che gli stava portando via parte della base e un alleato della coalizione, Sel; poi, ha sacrificato come agnelli al macello due dei padri fondatori del centrosinistra; ha ipotizzato un accordo con Berlusconi, che era l’unica cosa da fare fin da subito, per poi sconfessarlo; è passato, infine, ad un’ipotesi di autosufficienza del Pd, con l’ausilio di alcuni parlamentari grillini e di Scelta civica, rivelatasi fallimentare. Una vicenda, semplicemente, incredibile. Che ha origine, tuttavia, in un problema politico di vecchia data.
Quale?
Il Pd avrebbe dovuto diventare “democratico” fin dalla sua nascita. Quanto Bersani, tuttavia, ne è diventato segretario, è stato evidente che si sarebbe trattato della continuazione dell’esperienza del Pds. Ovvero, di un partito che, alla caduta del comunismo – il vero sconfitto, in tutto il mondo, del XX secolo -, non ha avuto il coraggio di diventare socialdemocratico. Nel momento in cui il Pds ha ripreso il controllo sul Pd, la sua anima si è connotata per la confusione, rimanendo ostaggio del giustizialismo e del populismo del web.
Lo scontro per la leadership sarà, con ogni evidenza, tra Renzi e Barca. C’è il rischio dell’ennesima spaccatura?
Le posizioni di Barca e Renzi sono del tutto inconciliabili. La prima, rappresenta un’impostazione socialdemocratica, quella di Renzi è volta a interloquire con un’opinione pubblica generale, piuttosto che con la base del Pd, che è rimasta di sinistra.
C’è il rischio di una scissione?
Il Pd ha scelto due volte un candidato unitario e mezzo partito ha votato contro. Che cos’è questa, se non una scissione?
(Paolo Nessi)