La bolla Monti è durata poco, ancor meno la previsione che le dimissioni di Berlusconi valessero 100 punti di spread. Invece, ieri si è tornati verso la soglia record di settimana scorsa, con una differenza sul Bund tedesco di 528 punti base. Come mai? Le Monde si chiede incredulo cosa stia accadendo: «L’Italia ha tirato un rigo sull’era Berlusconi e ha portato un tecnico al governo, esattamente come in Grecia, eppure le borse fibrillano, i tassi salgono, mentre si diffonde l’incertezza sul piano d’aiuti europeo» Cosa vogliono i mercati? Non basta aver decapitato sei governi legittimamente eletti dal popolo? È la domanda che tutti si pongono, i politici come i cittadini.
Domanda corretta anche se un po’ ingenua. Nella dialettica del potere non contano solo l’eletto e l’elettore, nemmeno nelle società moderne e in quelle liberal-democratiche. Si sa quanto pesano le burocrazie, o i corpi intermedi, la Chiesa, le corporazioni, i sindacati. Tutti fanno politica non solo con il voto. Nelle società capitaliste, poi, votano anche i mercati, come ricordava Luigi Einaudi, e votano ogni giorno: le loro schede sono i prezzi.
Chi investe in titoli italiani e conosce la situazione si chiede a che valore l’Italia riuscirà a vendere i 259 miliardi di euro in titoli di stato che scadono entro primavera. Guarda la situazione del mercato finanziario, affollato di titoli da rimborsare e da rinnovare (il governo americano chiederà ben 2.000 miliardi di dollari). Siamo in una fase di domanda elevata da parte dei governi e dei privati e Moody’s ha già lanciato l’allarme parlando addirittura di Armageddon obbligazionario.
C’è abbastanza offerta di denaro? La Fed stampa e con il quantitive easing compra bond a tutto spiano. La Bce non lo garantisce a priori, finora ha compensato la liquidità assorbita dalla crisi, tanto che la base monetaria resta stabile come ha detto Trichet nel suo commiato, vantandolo come titolo di merito. Dunque i rendimenti salgono e le aspettative li portano ancora più su. Se l’Italia vuole piazzare i suoi Btp, deve farlo a tassi alti. Questo è il dato di fondo. Quanto alti dipende dalle contingenze che si avranno nei prossimi mesi. E qui veniamo alla politica.
L’Italia è solvibile questo lo sanno tutti, ma è anche liquida? I titoli da rinnovare sono davvero tanti e non può contare su una banca centrale che agisca da creditore di ultima istanza. Certo, la Bce compra sul mercato secondario, e in teoria potrebbe farlo in abbondanza, fino a oggi ha impiegato solo il 10% delle sue disponibilità. Ma vien bloccata dal veto della Bundesbank terrorizzata da un ipotetico rischio inflazione. Dunque, se continua così, si arriva al punto in cui l’illiquidità può creare insolvenza. A meno che, di qui alla prossima primavera, il governo non abbia cambiato le aspettative. Come?
Primo, con una riforma delle pensioni di anzianità, riducendo al minimo quelli che andranno in pensione senza aver raggiunto la vecchiaia e allungando il limite d’età. Ciò comporta un alleggerimento di spesa corrente immediato, così come con il blocco degli stipendi dei dipendenti pubblici. Secondo, un giro di vite su tutti gli aspetti più incontrollabili della spesa, a cominciare da sanità ed enti locali. Terzo, un taglio alla voce acquisti, dove s’annida tanto grasso e tanto marcio. Quarto un intervento per ridurre lo stock di debito. Se quei 200 miliardi fossero ritirati dal mercato offrendo al loro posto titoli garantiti da un sottostante reale? Come terreni, immobili, case, quote di imprese raggruppate in una società, un istituto di risanamento nazionale, che potremmo chiamare Irn, il debito pubblico potrebbe scendere a 1,7 triliardi, cioè attorno al 100% del Pil. Nascerebbe un nuovo carrozzone? No, dovrebbe essere temporaneo come l’Iri di Menichella, e guidare un processo di privatizzazioni il cui ricavato vada tutto esclusivamente a riduzione del debito. A risanamento avvenuto l’Irn si scioglie. Questa operazione sarebbe molto più efficace della patrimoniale, perché non colpisce i redditi. Last but not least lo sviluppo a costo zero. L’ho collocato alla fine perché richiede tempi più lunghi, e per questo va cominciato subito; rispetto ai mercati può essere considerato un’opzione che scommette su una ripresa vera la quale soltanto può davvero garantire la solvibilità del Paese.
La crescita non dipende solo da noi, ma soprattutto dalla Germania, ecco perché ci vuole una diversa politica estera. Fatti i compiti a casa, Monti, il credibile commissario, deve spingere affinché l’insieme dei paesi colpiti dal mercantilismo tedesco inducano Berlino a cambiare linea. Un’espansione della domanda interna diventa una priorità per la Germania dal prossimo anno quando il Pil crescerà sotto l’1%. Non solo, le difficoltà francesi e le elezioni possono trovare Parigi più disponibile a offrire una sponda a Roma o a Madrid.
Oggi più che mai è chiaro che l’euro ha una dimensione politica come tutte le monete, e la crisi è fino in fondo politica, non solo finanziaria. Dunque, i mercati aspettano una strategia compiuta e comprensibile per capire dove va l’Italia: a essa sono legate le sorti del governo Monti, più che alle bizze dei politici e al retropensiero dei partiti.