A Milanello, in visita al Milan, avrebbe dovuto parlare solo di calcio. Ma non ce l’ha fatta a trattenersi dal parlare di politica. O, meglio, se l’era studiata. «Ho fatto un passo indietro anche per consentire che il rassemblement dei moderati comprendesse tutti i moderati per cui anche il partito di Casini», ha dichiarato Berlusconi per poi affermare che, nonostante non potrà più essere lui a prendere le decisioni, in Lombardia il fulcro elettorale del centrodestra dovrà essere costituito dall’alleanza tra il Pdl e la Lega. Non sapeva ancora che, con ogni probabilità, le elezioni regionali in Lazio, Lombardia, e Molise si terranno assieme alle politiche, il 10 marzo. Napolitano, dopo l’incontro con il premier e i presidenti di Camera e Senato, non ha esattamente detto “sì”. Rispetto alla data delle elezioni del nuovo Parlamento, una nota ufficiale del Quirinale ricorda che «in proposito si ricorda che il Capo dello Stato aveva rilevato, il 3 novembre scorso, la carenza, fino a quel momento, di condizioni oggettive e di “motivazioni plausibili” per un’anticipazione sia pur lieve della convocazione delle elezioni politiche. Si attende dunque il verificarsi delle condizioni opportune per la decisione che la Costituzione riserva al Capo dello Stato». Ovvero, l’approvazione della legge di stabilità e il varo della legge elettorale. In sostanza, l’election day è altamente probabile. Ma questo, per Berlusconi, cambia ben poco. Antonio Polito ci spiega perché.
Come vanno interpretate le parole dell’ex premier a Milanello?
Credo che non abbia affatto digerito la soluzione che si è prospettata all’ultima direzione del suo partito. Ovvero, il fatto di esser stato messo, sostanzialmente, in minoranza. Lui si era detto contrario alle primarie, Alfano favorevole, affermando che, se non si fossero indette, avrebbero perso la faccia. La maggioranza del gruppo dirigente ha dato ragione al segretario. Francamente, quindi, la reazione era prevedibile.
Ora, le affermazioni di Berlusconi sull’alleanza in Lombardia tra Lega e Pdl cosa implicano?
Tanto per cominciare, non credo che sanciscano la fine di Albertini. La sua era e resta una candidatura dotata di una forza intrinseca, che non dipende prevalentemente dal sostegno del Pdl. A questo punto, lo schema, verosimilmente, potrebbe essere questo: Albertini, l’Udc, parte del Pdl (gli “alfaniani” e i “formigoniani”) da una parte e, dall’altra, la parte rimanente del Pdl che resterà con Berlusconi e la Lega.
Quali effetti produrrebbe questo schema?
Il centrodestra, con due candidati distinti, probabilmente perderebbe. Dopo tanto tempo il centrosinistra ha un buon candidato, in grado, potenzialmente, di intercettare anche i voti del centro. E anche vero che il potenziale elettorale di Maroni non è sottovalutabile. Buona parte dei moderati non lo considera affatto un estremista leghista, ma un bravo ex ministro dell’Interno. Un uomo di Stato e delle istituzioni, con quel tanto di leghismo da andare bene anche alla base del Carroccio. Resta il fatto che, posto che l’intero centrodestra valga più del 50 per cento, diviso in due può facilmente essere sconfitto da chi ottiene attorno al 40.
Quale sarebbe il fine di questa operazione?
L’operazione di Berlusconi consiste in tre “missili”. Il primo è dedicato ad Alfano, e serve per ribadirgli che non conta nulla. Gli concede di fare le primarie, sapendo benissimo che non serviranno a niente. Il secondo rilancia il suo modello mentale. Berlusconi, in fondo, è un cripto-leghista, e condivide, in gran parte, l’impostazione ideologica del Carroccio. Non è un caso che ha sempre guardato con sospetto a Formigoni e all’esperienza lombarda. Il terzo, è volto a ricostruire uno schema di alleanze che gli consenta di tornare in gara. Nessuno, ad oggi, vuol stare più con lui. Ha ribadito che il suo passo indietro era volto al rassemblement con l’Udc. Ma Casini non ha nessuna intenzione di tornare in una coalizione dove Berlusconi sia in qualsivoglia misura presente. Gli unici che ancora lo accetterebbero sarebbero i leghisti. A patto che gli regali la Lombardia.
Lo stesso schema si riproporrà alle politiche?
Inevitabilmente. La sua idea è quella di costituire una lista personale. Sosterrà che lo scopo è quello di rafforzare il Pdl ma, in realtà, la metterà in piedi per allearsi con la Lega. Per questo, sta andando alla ricerca di personaggi da presentare come nuovi, al fine di rilanciare lo spirito del ’94. Come se in questi anni non fosse successo nulla.
Lo schema è valido sia nel caso in cui le regionali siano distinte dalle politiche che nell’ipotesi non esclusa da Napolitano di accorpamento?
Dal punto di vista di Berlusconi, tanto meglio se le elezioni si accorpano. Non solo la Lega, a quel punto, sarebbe obbligata sin da subito, anche sul fronte nazionale, all’alleanza, ma non si produrrebbero gli effetti di una probabile sconfitta alle regionali. Se la tattica di Berlusconi, in Lombardia, si rivelasse particolarmente fallimentare, la Lega, per evitare un secondo disastro, ad aprile non replicherebbe di certo l’alleanza.
Molto, in ogni caso, dipenderà dalla legge elettorale.
Lo schema sin qui descritto, per Berlusconi, è obbligato, a prescindere da qualunque legge. Comunque vada, non otterrebbe il premio di maggioranza; per tornare in auge, dovrebbe svuotare di voti l’M5S, ma non è attualmente in grado di farlo. Sicuramente, i sondaggi sovradimensionano il partito di Grillo, e nel momento in cui si tratterà di scegliere il governo che deciderà le tasse per i cittadini, godrà di molti meno consensi di quanto previsto. Sta di fatto che quanto è accaduto in Sicilia, ove si credeva che avrebbe prevalso il voto di scambio, è indicativo di come il fenomeno persisterà nel tempo.
E’ verosimilmente la creazione di una lista Monti?
Non è da escludersi del tutto, ma è altamente improbabile. Considerando la frammentazione politica e l’incertezza che regna sovrano, tuttavia, l’eventuale risultato negativo di tale lista inficerebbe l’ipotesi di un Monti bis. Per Monti, sarebbe quindi opportuno attendere l’evolversi degli eventi rimanendo super partes.
(Paolo Nessi)