Il patrimonio di Monti. Il patrimonio di Mario Monti si basa sulla sua credibilità, sulla stima che circonda la sua persona, sull’apprezzamento per il suo operato, considerato sempre serio e responsabile anche quando non è condiviso. Ma ora, e scusate il gioco di parole, questa sortita sulla patrimoniale rischia di compromettere il patrimonio che ha accumulato in un anno di buona politica e buon governo. Prima di tutto sembra la battuta di un politico in campagna elettorale. Meglio, sembra una mossa per conquistare simpatie anche dal pubblico di sinistra che ha nel suo programma proprio una tassazione di questo tipo. Monti sa benissimo che una simile misura sarebbe iniqua. Nel Paese degli evasori i cui capitali sono quasi sempre irraggiungibili, si colpirebbero solo quelli che legittimamente hanno guadagnato con il lavoro, la professione, i profitti di un’attività imprenditoriale. Sarebbe un modo per demonizzare la ricchezza, definendola comunque e sempre qualcosa di sospetto, di negativo, da punire. “Il denaro è sterco del demonio”, si diceva secoli fa. È una subcultura che l’ipotesi della patrimoniale riporta di moda. Alla faccia delle meritocrazia.
C’è un altro aspetto tecnico da non sottovalutare e che è stato messo a fuoco con la consueta lucidità da Federico Fubini su Il Corriere della Sera di oggi. Un Paese con un debito pubblico del 126% del Prodotto interno lordo e che ogni mese deve rinnovarlo piazzando Bot, Btp e quant’altro sui mercati internazionali, deve trattare con grande cura i capitali e non metterli in allarme con affermazioni (seguite da smentite) da choc. I depositi bancari dei privati (cittadini e imprese) valgono 1.400 miliardi, ricordava sempre Fubini. Spaventarli potrebbe indurli a cercare alternative, magari all’estero. È quella famosa fuga di capitali cui ha fatto cenno lo stesso Monti e che sarebbe rovinosa per il Paese.
Ultima osservazione. Anche se mirata solo sui più ricchi, questa è comunque una nuova tassa imposta a un Paese che dà al fisco più di qualsiasi altro nel mondo occidentale. È sensato? E i fondi a che cosa servirebbero? A continuare a pagare rimborsi elettorali ai partiti (anche se tagliati, sono sempre ingentissimi), vitalizi alle varie Minetti, stipendi a presidenti di Regioni più alti di quello Obama? A tenere in vita una galassia di municipalizzate, strumento dei politici locali per mantenere le proprie clientele? Ci si aspettava da questo governo un intervento deciso in materia, che invece non c’è stato. Allora sarebbe meglio trovare qui le risorse, piuttosto che con una patrimoniale che rischia solo di essere controproducente. Una famiglia, quando ne ha bisogno, può anche decidere di vendere l’argenteria di casa. Ma non per giocarsela ai cavalli.
L’altalena degli esodati.Altra cosa che ci si aspetta da un governo tecnico è che conosca la tecnica dell’amministrazione pubblica. E questa vicenda degli esodati francamente lo fa dubitare. Chi si ricorda quante volte è stato sbagliato e rettificato il numero di questo esercito di persone rimaste senza stipendio e senza pensione? E quante volte è stato detto che la copertura era stata trovata, poi persa, poi recuperata? Ieri è stato annunciato che finalmente la questione è risolta. Speriamo sia la volta buona.
I barbari al telefono. E pensare che avevamo già schierato le truppe al Monginevro, al Brennero, ad attendere riguardando in armi i barbari pronti a calare in Italia e che ci aspettavamo proprio dal nord, segnatamente dalla Francia e dalla Germania; orde selvagge decise a conquistarsi i nostri gioielli salvati da precedenti razzie, le nostre banche, le poche industrie buone rimaste a questo Paese che sta conoscendo il tremontiano fantasma della libertà. E invece eccoli che arrivano dal sud, dal mondo arabo e senza neppure il sostegno finanziario del petrodollari che ormai schiudono tutte le porte. Ecco infatti l’imprenditore egiziano Naguib Sawiris intenzionato a sottoscrivere un aumento di capitale a lui riservato in Telecom Italia che lo porterebbe a controllare circa il 30% della società di telecomunicazioni presieduta da Franco Bernabè. La notizia, anticipata come rumor dal Wall Street Journal, è stata confermata dallo stesso gruppo di tlc dopo che la Consob aveva a lungo insistito perché venisse fatta chiarezza e che la si smettesse di far finta di niente lasciando che il titolo in Borsa facesse la gioia di qualcuno. Alla fine la società ha ammesso: “Sì, abbiamo ricevuto una manifestazione di interesse in questo senso: La valuteremo”. Bernabè sorridente ha aggiunto: “Se qualcuno guarda a noi, vuol dire che c’è fiducia nell’Italia e nelle società italiane”. Il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, ha confermato che per il Paese è una buona notizia.
I giornali italiani, in genere, hanno applaudito. Ma non c’è da farci molto caso: Telecom è un big spender pubblicitario e questo le procura una certa attenzione positiva da parte dei media. L’operazione va vista con calma, perché non se ne conoscono i termini. Si parla di un aumento di capitale riservato a Sawirs che porterebbe 5 miliardi nelle casse aziendali, permettendo di ridurre lo stratosferico indebitamento e/o di fare investimenti per crescere soprattutto all’estero. Con l’aumento però il finanziere egiziano arriverebbe quasi al 30%: al di sotto della soglia che farebbe scattare un oneroso obbligo di opa (offerta pubblica di acquisto sul restante capitale), ma al di sopra della Telco che con il suo 22,5% è attualmente l’azionista di riferimento. La Telco è una scatola costituita solo per parcheggiare quel pacchetto di Telecom Italia: i suoi azionisti sono la spagnola Telefonica (47%), Mediobanca, IntesaSanpaolo e Generali. Che cosa significherebbe per loro l’arrivo di Sawiris? Sarebbe un liberi tutti? È stato o sarà negoziato anche questo aspetto, decisivo, della questione: comunque la si voglia vendere, qui si sta parlando del passaggio di proprietà del più importante gruppo italiano delle telecomunicazioni.
Qualcuno ha scritto: “Sawiris, che ha già un know how di tlc essendo stato proprietario di Wind, sarebbe il nuovo partner industriale de Telecom”. Ma Sawiris non è un industriale, è un finanziere come dimostra proprio la vicenda Wind: l’ha comprata dall’Enel, poi la venduta alla russa Vimpelcom in cambio di cash e di azioni della stessa Vimpelcom. Azioni che, poco dopo, ha rivenduto guadagnandoci. Quindi un finanziere puro, di quella stessa razza di compratori-venditori che non ha fatto un gran bene alle economie di tanti Paesi, Italia compresa. È questo che piace a Bernabè, a Passera, agli attuali azionisti italiani di Telecom? Si? E allora, avanti Sawiris.