L’Ufficio studi della Cassazione boccia la legge anticorruzione, in particolare, alla voce: «corruzione tra privati». Una fattispecie estremamente vaga, foriera di molteplici interpretazioni «ambiguamente posta» e il cui accertamento è «a dir poco problematico». Non si tratta, purtroppo, dell’unica norma controversa; Gaetano Pecorella, onorevole del Pdl ci spiega perché la legge è piena zeppa di errori e misure che, con ogni probabilità, produrranno più danni che benefici ed effetti opposti allo spirito iniziale con cui è stata ideata.
Cosa ne pensa, anzitutto, del pronunciamento della Cassazione?
L’opposizione, in sede parlamentare, del Pdl e – in particolare, del sottoscritto – su questo genere di reato, sia alla Camera che al Senato, si è prodotta proprio per le ragioni addotte dalla Cassazione: la sostanziale indeterminatezza della fattispecie e la difficoltà a individuare in quali casi siamo di fronte ad un’ipotesi di corruzione piuttosto che al legittimo riconoscimento di un’attività svolta. Ci sono situazioni, cioè, che potrebbero rivelarsi paradossali quali, per esempio, quella in cui sussista un accordo tra il datore di lavoro e il lavoratore in base al quale quest’ultimo debba ricevere un compenso per aver acquistato un certo tipo di materiale piuttosto che un altro.
La bocciatura della Cassazione cosa comporta?
Nulla. L’iter parlamentare si è concluso, è quello della Cassazione è un semplice parere. Che, oltretutto, sarebbe stato meglio se fosse stato fornito nel corso dei lavori di Camera e Senato. Si sarebbe trattato, in ogni caso, di un parere non richiesto, privo di qualsivoglia potere vincolate.
Quali sono i punti della legge che lei ritiene maggiormente controversi?
Anzitutto, il governo non ha preso in considerazione l’ipotesi di disciplina sull’autoriciclaggio. Una norma richiesta dall’Europa ci chiede e che risulta assolutamente indispensabile, perché affronta il caso in cui il denaro sporco venga messo sul mercato dallo stesso soggetto che se l’è procurato. Oggi, invece, il denaro sporco è oggetto di riciclaggio esclusivamente nel momento in cui venga ceduto a terzi. Siccome la pratica danneggia la concorrenza e gli imprenditori onesti, la fattispecie di reato sarebbe dovuta essere inclusa nella norma. Viceversa, una norma che creerà molti problemi e che, invece, si è ritenuto di introdurla, è quella del traffico di influenze.
Che problemi determinerà?
C’è il rischio che il più piccolo intervento, anche in buona fede, per far ottenere a qualcuno un posto di lavoro rientri nella fattispecie. Provocherà, quindi, problemi di applicazione. Specialmente, in termini di incremento del potere discrezionale della magistratura. Godendo di ampi margini, il magistrato potrebbe interpretare la presenza del reato in funzione dell’imputato. L’attuale carenza di definizione fa sì che non sia escluso che il singolo magistrato, a seconda delle proprie convinzioni, decida di colpire un determinato parlamentare. Laddove, ad esempio, un pubblico ufficiale lascia intende a un cittadino che pretende di essere pagato, si trova in una posizione di forza tale per cui si tratta già di per sé di una minaccia. Un’altra norma di cui non si sentiva la necessità.
Complessivamente, la legge va nella direzione auspicata?
Credo che le norme che già esistevano fossero ampiamente sufficienti. Aumentare le pene di alcuni reati di 1-2 anni non sortisce altro effetto se non quello di rendere più difficile il patteggiamento e, di conseguenza, di aggravare ulteriormente il carico di lavoro dei giudici.
Inizialmente, nelle intenzioni, la legge avrebbe dovuto ripristinare l’autorevolezza della politica
Diciamo, anzitutto, che neanche la magistratura, attualmente, si trova sugli altari. Ci sono magistrati che troppo visibilmente si schierano politicamente, e altri arrestati per colluzione con gli ambienti malavitosi. Detto questo, la politica non recupererà di certo credibilità con una legge che aumenta le pene. Dovrebbe, invece, cambiare faccia, presentando persone oneste che si dedichino agli interessi del Paese e rispondendo alle sue esigenze.
(Paolo Nessi)