Prosegue la guerra fredda tra il Pdl e i tecnici. Ieri il governo è andato “sotto” grazie ai senatori del Popolo della Libertà che, insieme a Lega e Idv, hanno votato contro le indicazioni dell’esecutivo sulle pensioni dei manager pubblici. Un incidente di percorso che segue di pochi giorni le dichiarazioni al veleno rivolte dal premier ad Angelino Alfano e a Silvio Berlusconi.
«Il segnale politico è evidente – spiega a IlSussidiario.net il direttore de Il Giornale, Alessandro Sallusti – ed è figlio di un malessere generale tra politici e tecnici. D’altra parte, stanno venendo al pettine tutte le anomalie di un governo d’emergenza. Per sua stessa definizione l’emergenza non è infinita, ma rappresenta una cambiale in bianco da riscuotere immediatamente, altrimenti non se ne capisce più il senso».
Questa insofferenza, alimentata anche dalle nuove nomine del governo, potrà avere degli sviluppi significativi secondo lei?
Al di là del dibattito di queste settimane, il destino del Paese non si gioca sul fatto che si vada a votare in ottobre o a marzo. La discussione è appassionante giornalisticamente, in mancanza di argomenti migliori, ma sarebbe legittima soltanto se la differenza consistesse in qualche anno, non in qualche mese.
Di conseguenza ciò che davvero conta non è fra quanto torneremo alle urne, ma in che condizioni questo avverrà. Quindi con quale legge elettorale e con quali alleanze.
Qualche indizio in proposito?
In realtà la confusione regna sovrana e, realisticamente, non si può chiedere a un sistema di autoaffondarsi in nome di un principio nobile.
Cosa intende dire?
Che verrà scelta non sulla base di ciò che è meglio per il Paese, ma rispetto a quanto sarà in grado di tutelare la maggioranza che la voterà. Sarà in pratica figlia di un accordo politico e dipenderà, da un lato, dalle eventuali alleanze del Pdl (con la Lega o con l’Udc) e dall’altro da quelle del Pd.
Il Popolo della Libertà annuncerà una “novità epocale” dopo le elezioni amministrative. A quel punto avremo qualche elemento in più in questo senso?
Sinceramente mi aspetto qualcosa di sostanziale. Credo però che, qualunque cosa sia, questo partito non possa ancora prescindere dalla presenza di Silvio Berlusconi. Non potrà essere quindi una novità “ad esclusione” del Cavaliere. Non ci sono i tempi e le condizioni perché questo accada.
Il Popolo della Libertà secondo lei si è già preparato a una sconfitta alle elezioni amministrative?
Un voto negativo a mio avviso non è stato solo previsto, ma anche archiviato. Non è tanto l’umore degli elettori, ma la matematica, a dirci che senza un’alleanza con la Lega al Nord è difficile tenere. Per questo la sconfitta è scontata, anche se sarà difficile da misurare.
Piuttosto sarà interessante osservare i voti che prenderà il Pd e la Lega Nord, l’unica a presentarsi sola. Il Pdl deve sperare solo che la flessione non si trasformi in un crollo.
Una debacle potrebbe dare il via a un processo di disgregazione, come si vocifera in questi giorni?
Non credo proprio. Non si capisce quali scossoni possa creare un risultato che, ripeto, è già stato assorbito, un po’ come fanno i mercati con le pagelle delle agenzie di rating.
Quello che doveva succedere, per intenderci, è già successo. I vari Pisanu e Scajola, poi, avevano un peso quando con i loro deputati potevano determinare la sorte del governo, non oggi. Alle urne infatti non spostano nulla.
Se la chiave di volta saranno le alleanze, è difficile però immaginare un accordo tra un Pdl che non può rinunciare a Berlusconi e i centristi, che sull’ex premier non hanno mai fatto cadere il loro veto.
Infatti, sono pronto a scommettere che Casini non farà un passo indietro su questo. Il suo problema non è il Pdl, ma Berlusconi. Al momento però le due cose coincidono ancora.
E tra il Popolo della Libertà e un Carroccio ancora scombussolato dalla resa dei conti interna può davvero rinascere un’intesa?
Anche in questo caso, non riesco a immaginare una Lega che prescinda da Umberto Bossi. Ci sarebbe un’implosione e una scissione, ma a quel punto le due leghe non riuscirebbero a farne una intera. Anche questo partito insomma è “condannato” a mantenere il proprio leader di sempre. Non solo, il fatto che il Senatùr tenga è la speranza recondita e incoffessabile di Berlusconi. Finché c’è lui infatti la speranza di ricostruire l’“asse del Nord” c’è. Con Maroni invece sarebbe tutto più difficile.
(Carlo Melato)