Caro direttore,
Non ha fatto a tempo, lo scorso venerdì, il cancelliere della Corte costituzionale ad apporre l’ultimo timbro sulla sentenza che riguardava la legge Madia, che già Renzi tuonava sull’importanza della sua riforma costituzionale, che avrebbe efficientemente superato gli ostacoli frapposti dalla burocrazia (sic!).
Renzi sembra essere come quegli studenti impreparati che ogni tanto capitano agli esami universitari, i quali, fingendo di avere studiato, inventano di sana pianta risposte completamente sbagliate che, però, in modo assurdo si tengono logicamente. Poi, l’esaminatore ci riflette e si accorge che le risposte non hanno né testa, né coda.
Così è nel caso della pronuncia della Corte sulla legge Madia e della sua riforma del Titolo V, che — sia detto per inciso — è la parte peggiore della riforma, perché fondata sulla bugia. Bugia che la causa del contenzioso tra Stato e Regioni sia stata la competenza concorrente. Bugia che la riforma costituzionale elimini la competenza concorrente; anzi, le materie che prima erano splittate in due, adesso sono divise in tre o più parti: alcune statali, altre regionali, altre ancora, insieme, statali e regionali. Un vero caos, senza considerare la clausola di asimmetria e la clausola di supremazia che nella sostanza sono una il contrario dell’altra.
Ma perché Renzi è come uno studente che inventa risposte assurdamente logiche?
Semplice! La legge Madia prevedeva che vi fosse una disciplina statale (con decreto legislativo) sulla dirigenza regionale, sulle partecipate regionali e sui servizi pubblici locali di rilevanza economica. Tre oggetti di competenza regionale, non fosse altro che per l’ambito di riferimento, per i quali prevedeva che la disciplina statale venisse adottata previo parere con la Conferenza unificata (governo, esecutivi regionali e sindaci).
La Corte, data la rilevanza regionale e locale degli oggetti, ha previsto che al posto del parere dovesse esserci un’intesa da siglare in sede di Conferenza unificata.
Non è stato un colpo di stato, ma un semplice spostamento dal parere all’intesa. La Corte lo ha fatto tante volte, a partire dalla celebre sentenza sulla legge obiettivo voluta da Berlusconi nel 2001 e impugnata dalle Regioni di sinistra, perché risultavano estromesse dalla partecipazione al procedimento di localizzazione nel territorio. La Corte riconobbe la fondatezza della pretesa regionale, in quanto, interferendo lo Stato con il governo del territorio regionale, questi avrebbe potuto decidere la localizzazione solo previa intesa con le Regioni.
Il fondamento costituzionale di questa intesa è, per la Corte, il principio della leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni, che il giudice costituzionale considera, non a torto, immanente al sistema costituzionale.
La riforma costituzionale non abroga il principio di leale collaborazione, né espressamente, né implicitamente (almeno così speriamo). Di conseguenza, anche con il testo costituzionale Renzi-Boschi la sentenza della Corte avrebbe avuto il medesimo fondamento giuridico e sarebbe stata adottata con la medesima motivazione.
Anzi, con la riforma quei tre oggetti sarebbero non più di competenza concorrente, bensì di più stretta competenza esclusiva regionale, per cui lo Stato potrebbe intervenire solo attraverso un’iniziativa preventiva del governo con una apposita legge che motivasse la ragione per la quale lo Stato disciplinerebbe materie di competenza regionale (c.d. clausola di supremazia) e questa proposta di legge sarebbe deliberata con uno dei quattro procedimenti legislativi previste dal famigerato nuovo articolo 70, ed esattamente con quello che prevede una partecipazione rafforzata del Senato.
Questo per la legge Madia, mentre per i suoi decreti legislativi — sempre dopo l’entrata in vigore della riforma costituzionale — sarebbe sempre necessaria la previa intesa tra governo ed esecutivi regionali in sede di Conferenza (non c’entra per nulla, almeno questa volta, la burocrazia accusata da Renzi di essere un ostacolo).
Renzi non conosce la riforma che propone e, sin qui, è come uno studente impreparato. Cosa fa di lui uno studente che risponde in modo assurdamente logico?
Fa credere che la sua riforma superi gli ostacoli procedurali e che in questo modo lui, o chi governa (non è detto che sarà sempre lui), può assumere decisioni incontestabili e perciò stesso efficienti.
Questo è sicuramente il suo sentimento e molto di questo sentimento sta nella riforma, la filosofia dell’uomo solo al comando, con una legge elettorale ipermaggioritaria per la Camera dei deputati, che può consentire di decidere in proprio dell’inquilino del Quirinale, e un Senato composto da amici come i presidenti delle Giunte o, se non amici, che in ogni caso devono stare attenti, perché le Regioni finanziariamente sarebbero ormai fortemente condizionate dal Governo.
Tuttavia, persino questo sogno infausto si inserisce in un contesto costituzionale più complesso della stessa riforma proposta, che si chiama costituzione materiale ispirata ai principi del costituzionalismo (quello dell’art. 16 della dichiarazione del 1789). Un contesto che fu opposto dal giudice costituzionale, pur nella sua particolare generosità con i vari governi, ieri a Berlusconi e oggi timidamente a Renzi.
Se Renzi non vuole correre il rischio di essere bloccato in futuro, bisogna suggerirgli di non fidarsi del testo proposto, nonostante non sia di certo bello, e di fare una modifica costituzionale che abroghi il costituzionalismo e magari consenta al presidente del Consiglio de ministri di nominare direttamente i quindici giudici della Consulta e possibilmente solo se prestano giuramento, non alla Costituzione, ma alle leggi volute dal Governo: Italicum, Sblocca Italia, Delrio, Buona scuola, Jobs Act, ecc.
Sarebbe il massimo dell’efficienza.