Il Governo sembra intenzionato a premere l’acceleratore sulle privatizzazioni. Parlando dal Messico il presidente del Consiglio, Enrico Letta, ha ribadito la volontà del governo di “procedere con rapidità nel processo già avviato”. Per Poste Italiane si parla di una cessione del 30-40%, mentre una fonte governativa ha reso noto che la seconda priorità del Consiglio dei ministri è la cessione di parte delle azioni detenute da Eni, controllata del Tesoro e di Cdp. Per il professor Francesco Forte, ex ministro dell’Economia, «questo è il momento opportuno per privatizzare Poste, Anas e Ferrovie, anche se la procedura che va seguita è diversa da quella che ha in mente Letta. Al contrario vendere quote di Eni sarebbe un grave errore perché insieme a Enel è una delle società italiane che producono più utili».
In che modo si dovrà procedere per quanto riguarda le privatizzazioni?
Per le grandi società come Poste, Ferrovie e Anas, il vero problema se si vuole privatizzare è la trasparenza dei bilanci e dei valori patrimoniali. Hanno infatti società, terreni e immobili spesso poco valorizzati, ma che valgono. Privatizzare in questi casi significa andare in Borsa e non vendere semplicemente una quota a un azionista.
Quali modalità ritiene quindi che vadano seguite?
Parlare di privatizzazioni è una frase senza senso se prima non si dice che si è dato mandato a una società di revisione di fare l’analisi del bilancio societario ai fini della collocazione in Borsa. Quest’ultima comporta requisiti giuridici particolari, che Poste, Anas e Ferrovie potrebbero anche già avere ma che vanno individuate in modo esplicito. Occorre inoltre mettere in atto un vero e proprio roadshow.
Di che cosa si tratta?
Un vero e proprio “tour” internazionale per presentare gli asset in modo che siano valutati dai mercati globali. Trovo quindi che Letta abbia optato per una procedura insolita, normalmente le privatizzazioni non si fanno con dei proclami. Si individua una società di revisione e sulla base del lavoro di quest’ultima si presenta la società pubblica in questione a tutto il mondo.
Nel momento in cui numerosi Stati stanno privatizzando, ritiene che sarà più difficile vendere?
No, adesso è il momento giusto per privatizzare perché c’è un’enorme liquidità internazionale e un interesse estremamente elevato per gli investimenti di acquisto anziché di produzione. Siccome il rilancio economico a livello internazionale non c’è, ci sono più soldi in cerca di asset su cui investire che non operatori economici che hanno bisogno di soldi per fare cose nuove. D’altra parte gli asset che offrirebbe il governo italiano hanno una prospettiva dinamica vastissima. Ferrovie, Poste, Anas appartengono all’industria terziaria di comunicazioni e trasporti, due settori che hanno sempre più mercato.
Ritiene che vadano privatizzate anche aziende più strategiche come Enel ed Eni?
Vendere Enel ed Eni equivarrebbe a vendere l’argenteria. Sarebbe quindi non solo un’operazione poco intelligente, ma suicida. Se un investimento è ben gestito e rende, è meglio tenersi il reddito che vendere il capitale. Le privatizzazioni che si devono compiere sono quelle per acquistare un maggior reddito e abbattere il debito.
Insomma allo Stato conviene tenere il controllo di Enel ed Eni?
Sì. Privatizzare Enel ed Eni sarebbe un’azione sconsiderata come quella di un figlio che si gioca a carte il podere dei genitori. Quando un ente rende come Eni fa da scudo al nostro debito, mentre rinunciare a tutto ciò che è liquido e appetibile metterebbe l’Italia in una situazione pericolosissima. Già il governo Monti ha “spolpato” la proprietà privata immobiliare attraverso l’Imu, solo Attila e i suoi Unni potrebbero fare altrettanto anche con il patrimonio pubblico che rende come Eni ed Enel.
(Pietro Vernizzi)