Valutando tutti i risultati locali si può dire che si è manifestata una ribellione di massa degli elettori, con le sue più svariate forme. Che si tratti di ribellione si rende evidente dal deciso declino di Pdl, Lega, Pd e Terzo Polo.
Naturalmente non si può dire: una sana ribellione, è stata sana solo dove il candidato ha colto gli umori della sua città. Tosi a Verona, Orlando a Palermo e molti altri. Dico sana per questi casi, solo perché la ribellione non ha assunto i caratteri della scelta irrazionale.
E non dico antipolitica per Grillo o per altre estremizzazioni del voto contro. Presentarsi alle elezioni non è antipolitica. Però il Movimento cinque stelle predica l’irrazionalità, come liberazione dalle egemonie della maggioranza. Sono anche più semplici sui problemi locali, e dunque colgono il bisogno di votare sui problemi e non sugli schieramenti.
Direi che l’antipolitica si è manifestata con il 6,4% di maggiori astensioni dal voto. Ci avviciniamo al 40% di italiani che non vanno a votare.
Non fa parte dell’antipolitica neppure il ferimento del dirigente industriale di Genova.
In questo caso dobbiamo ricordare il cambiamento del terrorismo: si tratta di anarchici insurrezionalisti, e non più di terrorismo politico da Brigate Rosse. Ovvero è più forte la scelta antisociale, rispetto a quella del fiancheggiamento armato di politiche presenti.
Da non dimenticare il movimento NO-TAV, le cui ragioni sono di conservatorismo antisviluppo. Da notare che questo movimento si collega ai violenti manifestanti internazionali vestiti di nero e cultori dell’asocialità.
Nella pentola della ribellione manifestata nella politica sono presenti tanti ingredienti che hanno come solo dato comune il rifiuto della logica dominante. Si può essere d’accordo sullo scardinamento delle egemonie sistemiche nel potere. Ma non si può diventare antisistema sino al punto di preferire il rifiuto dello sviluppo e il rifiuto delle regole di convivenza.
Alla attenzione è dunque posto il problema del cambiamento dei partiti, delle proposte, delle alleanze. Non ha funzionato neppure l’aggregazione del terzo Polo, dunque il problema non è di superare il bipolarismo. Il problema è rendere credibile un rinnovamento.
Siccome non si può pensare che a destra e a sinistra ci si rinnovi per proprio conto, quello che serve è un soggetto rinnovatore che si rivolga a tutte e due le parti, avendo fiducia nella positiva esigenza di rinnovamento chiesta dagli italiani.
Cominciamo col dire che i partiti nazionali non si presenteranno più alle elezioni amministrative. Che dunque può nascere una politica di aggregazione sui problemi locali e sulla concretezza dei programmi. Poi superiamo la contrapposizione socialismo-liberismo, che sono vecchie impostazioni culturali lontane dai problemi posti dalla crisi economica internazionale.
Infine chiediamo alle formazioni sociali e alle comunità di produrre le forme della delegazione alla politica. Non le primarie, ma i congressi del popolo, dai quali si forma la capacità della società di giudicare le proposte delle parti politiche.
Per fare questo cambiamento adesso si rendono urgenti circoli e associazioni che facciano politica di base, cioè sulle questioni decisive, e che si affianchino ai partiti come luoghi di stimolo al cambiamento.
In sintesi si potrebbe dire: dare una risposta ragionevole alla ribellione irrazionale.