Mettiamocelo in testa: dove c’è di mezzo il digitale, comandano gli americani. E qualsiasi giudizio si voglia dare oggi delle begucce italiane tra Mediaset, Vivendi e Telecom, bisogna cercare di darlo con gli occhiali americani sul naso. Dunque, riepiloghiamo e proviamo a capirci qualcosa: lo scenario di cui si parla è duplice. Il nuovo amministratore delegato di Tim-Telecom, Amos Genish, ha avuto un’idea geniale. Forse subodorando il vento americano. Ha ipotizzato non di vendere la rete ma di scorporarla in una società a parte, controllata da Tim ma non al 100%, nella quale far entrare Mediaset al 20% e far sedere anche consiglieri designati dal governo. Copiando quindi, dopo quindici anni, il modello vincente di British Telecom (“Open Source”, si chiamava), chissà perché mai adottato dalle precedenti gestioni di Telecom. Fin qui, l’opportunismo politico; come dire al governo: “Visto che non vi fidate, mettete i vostri sceriffi nella nostra stanza dei bottoni, e controllate tutto quello che volete”. Fa effetto, non c’è che dire.
Ma c’è molto di più. Genish sapeva perfettamente che, col procedere dell’implementazione della rete di Open Fiber – che è realizzata con il modello in cui la fibra arriva direttamente nelle case degli utilizzatori (fiber to the home, ftth) – la rete di Telecom, che invece arriva non nelle case ma negli armadietti (fiber to the cabinet, fttc) di quartiere o al massimo di palazzo e ha poi bisogno comunque del rame per entrare in casa, vale meno, sempre meno. E non sapeva come risolvere il problema. Una grande mano – a lui come a tutte le altre “telecommunication company” – l’ha sta però dando l’amministrazione Trump. Che ha fatto due cose: ha bloccato l’acquisizione di Time Warner da parte di At&t, quindi ha impedito che un gruppo di telecomunicazioni (At&t) acquistasse un editore ricco di contenuti, sostenendo che in questo modo si creerebbe una concentrazione anticoncorrenziale di potere mediatico. E soprattutto ha annunciato che intende abolire la “net-neutrality” della rete, predicata insulsamente da Obama.
Passo indietro: di che stiamo parlando? Di uno di quei principi finto-democratici predicati truffaldinamente da Google e compagni, secondo cui i grandissimi utilizzatori delle reti di telecomunicazioni – appunto Google e tutti gli altri operatori internet – non devono essere sottoposti a discriminazioni commerciali attraverso differenziazioni tariffarie imposte loro dalle compagnie dei telefoni. Per cui il signor Rossi che scarica 10 mail al giorno come tutto consumo Internet e il signor Google che ingolfa la rete di tutto il mondo, pagano per transitare nei cavi ottici lo stesso prezzo unitario. Pura follia, se si considera che per il signor Rossi quella magra navigazione è un costo, mentre per Google & C. transitare per i cavi è il presupposto per macinare i loro fantastici guadagni.
Cosa dice adesso l’amministrazione Trump? Dice che chi vuol consumare tanta connettività web, per esempio scaricando film o guardando contenuti in streaming, deve pagare di più degli altri. Perché ingolfa la Rete: che invece deve essere libera per gli usi prioritari, come la geolocalizzazione e, domani, la guida autonoma dei veicoli. Cosa significa questo? Che se io produco dei film e voglio diffonderli in rete, devo mettere in conto che per i miei spettatori vederseli costerà di più! Ma allora se sono anche proprietario dei cavi lungo i quali quel film vengono diffusi in Rete, posso fare quel che voglio sia dei prezzi, sia, in definitiva, dei miei stessi costi. Quindi la proprietà delle reti, anche quelle non bellissime come la rete Telecom, torna strategica e il loro valore torna a salire.
A questo punto ritorniamo alle beghe italiote. Vivendi ha capito che dovrà pagare a Mediaset un maxi-risarcimento per le porcherie tentate mesi fa con la scalata borsistica durante le trattative per Mediaset Premium. E allora pensa di cavarsela dandole dei soldi – si parla di circa 400 milioni di euro – e in più un saldo in natura, appunto quel 20% della nascente società della rete Tim, per cementare un’alleanza in cui Mediaset Premium potrebbe diffondere in via preferenziale i suoi contenuti sulla rete Tim, cosa che in Europa è lecita.
Geniale, sempre che i soci di minoranza Tim non s’inalberino, lamentando magari un parziale esproprio della rete a vantaggio di un terzo soggetto con cui non Tim, ma il suo socio di riferimento Vivendi, ha una bega che vuol chiudere con dei soldi presi da tasche altrui…Ma queste sono finezze che ormai sul mercato borsistico nessuno nota più. E del resto se davvero Tim – come ha detto Genish – vuole diventare una “digital company” ha bisogno dei contenuti di Mediaset Premium; e se davvero la mossa di Trump contro la net-neutrality rimette le telecommunication company a centrocampo, anche Mediaset avrà interesse a mettere un piede in una rete che torna a valere di più.
Vedremo: certo è che Donald Trump ha riaperto i giochi del mercato mondiale di telecomunicazioni e media.