Come volevasi dimostrare, l’agenda Soros per azzoppare il Brexit è entrata nella sua modalità operativa. E con il massimo dell’ufficialità, visto che a fronte delle aperture fatte dalla premier britannica, Theresa May, sullo status dei cittadini Ue residenti nel Regno Unito – potrà restare senza alcuna condizione chi è già presente da almeno cinque anni -, ieri in apertura della seconda giornata del Vertice europeo è stato il capo della Commissione Ue in persona, Jean-Claude Juncker, a chiudere la porta. «Quello sui diritti dei cittadini europei è solo un primo passo, ma non è sufficiente», ha tagliato corto l’alto rappresentante dell’Unione. Come dire, avevamo promesso un negoziato duro e così sarà.
Certo, quando si ha il coltello dalla parte del manico è giusto far valere la propria posizione di forza, ma questo denota un atteggiamento pregiudizialmente ostile: l’Ue non vuole trattare con Londra, vuole umiliarla. Non a caso, è partito – nelle segrete stanze del Vertice – un assalto alla diligenza per spartirsi le agenzie europee con sede a Londra che ora dovranno essere ricollocate all’interno dell’eurozona: e, avendo l’Italia puntato quella del farmaco per Milano, la continua polemica sui vaccini non pare un bel viatico di curriculum da portare in dote. Chissà che qualcuno non stia mestando nel torbido per puro interesse di parte.
Non so cos’altro possa servire alla gente affinché apra finalmente gli occhi su cosa sia l’Unione europea: una consorteria di non eletti che impone ricette pre-determinate agli Stati membri, il tutto a prescindere dalle indicazioni che arrivano dalla volontà popolare, quando questa sia presa in considerazione. Sono tre le questioni particolarmente gravi emerse nelle discussioni degli ultimi due giorni, di fatto strettamente connesse. La prima riguarda la totale assenza di dignità politica e nazionale dell’Italia sulla questione migranti, visto che siamo letteralmente stati presi a pesci in faccia dagli altri partner sui ricollocamenti e sulla questione del trattato di Dublino: umiliati, non c’è altro termine da utilizzare. Certo, non mi aspettavo da Paolo Gentiloni un approccio in stile Bettino Craxi su Sigonella o quello di Giulio Andreotti sulla questione dell’indipendenza nei rapporti con il mondo arabo, ma un sussulto di dignità, sì: avrei voluto un premier che, ieri sera al termine dei lavori, salutasse tutti, prendesse l’aereo e disertasse la seconda giornata di lavori. Di più, ponendo un ultimatum: o ci si siede a trattare seriamente sul tema immigrazione oppure stop italiano al versamento di qualsiasi fondo all’Europa e veto sulla questione Brexit, ponendo il nodo della trattativa unica da parte della Commissione Ue e non dei singoli Stati. Nei miei sogni più proibiti, poi, ci sarebbe stato un premier che contestualmente annunciasse l’invito ufficiale a Roma per Theresa May per un vertice bilaterale in cui trattare il tema dei rapporti italo-britannici in vista dell’addio di Londra. Ma noi siamo solo una colonia imbelle ormai, incassiamo colpi come un vecchio pugile senza più dignità che deve solo stare in piedi a sufficienza per farsi pagare la borsa dell’incontro. Questo siamo, prendiamo atto e finiamola di appellarci alla necessità di dialogo e mediazione: quanti anni sono che l’Europa ci prende letteralmente per i fondelli su tutto, a fronte di 20 miliardi che recapitiamo puntualmente ogni anno a Bruxelles, rivenendo indietro 12?
Secondo, il rinnovo di altri sei mesi delle sanzioni contro la Russia per la questione Ucraina, giustificato con il non rispetto da parte di Mosca degli accordi di Minsk. Al netto del silenzio criminale dell’Ue rispetto alle atrocità che si stanno compiendo anche in questi giorni nel Donbass da parte delle milizie filo-ucraine, con decine e decine di civili uccisi o costretti alla fuga dalle loro terre (questi profughi, veri, stranamente non indignano né l’Ue, né Boldrini e soci, chissà come mai), questo atto non è solo un suicidio politico-economico, ma anche un atto simbolico di fedeltà di Francia e Germania al Deep State statunitense e alla sua agenda di destabilizzazione dichiaratamente anti-russa. È stata infatti l’introduzione a cura di Angela Merkel ed Emmanuel Macron a fare da prologo al via libera dell’atto formale, un’accozzaglia di bugie con pochi precedenti, ma con una chiara finalità: instaurare da subito la supremazia del nuovo asse renano in seno alle istituzioni europee e stabilire un nuovo filo diretto con la Washington che conta, ovvero il Pentagono e i suoi addentellati, i quali hanno con Parigi e Berlino un nemico comune: Donald Trump.
Anche perché giova ricordare le parole pronunciate in conferenza stampa da Emmanuel Macron durante la visita ufficiale di Vladimir Putin a Parigi, un mese fa: «Se in Siria si compiranno violazioni dei diritti mani, se verranno varcate le cosiddette “linee rosse”, una reazione francese sarà inevitabile». E, state certi, qualcosa del genere sta per accadere in Siria, è solo questione di tempo: non a caso, ieri i russi hanno sparato dalle loro fregate e sottomarini 6 missili balistici contro postazioni Isis in Siria, eliminando poi i sopravvissuti in fuga con raid aerei. Si teme la classica false flag che crei il pretesto di un attacco, quindi si accelerano le operazioni di indebolimento operativo del nemico. E per inviare un segnale chiaro a Turchia e, soprattutto, Israele.
Terzo e ultimo, il piano di difesa comune. Agitando lo spettro di una bombola di gas e di un trolley incendiato, Emmanuel Macron è infatti riuscito a ottenere in 5 minuti ciò che non era nato nemmeno nel pensiero in dieci anni: i prodromi della difesa comune europea con la costituzione, appunto, di un fondo ad hoc, reso necessario e inderogabile dall’emergenza terrorismo (in particolare i foreign fighters), casualmente palesatasi in maniera plateale proprio a ridosso del Vertice, prima a Parigi e poi a Bruxelles stessa. La finalità è giungere all’esercito comune europeo? No, non serve a nulla, tanto più che c’è già la Nato e quanto sta accadendo nel Baltico ci dice che la politica di difesa europea è totalmente delegata all’Alleanza e al suo socio di maggioranza, ovvero gli Usa. E proprio in ossequio alla richiesta statunitense di aumentare gli stanziamenti europei per la difesa, tra cui i versamenti partecipativi all’Alleanza da portare al 2% del Pil, Macron ha piazzato la zampata diplomatica: soldi, ma, soprattutto, mani libere. Il tutto in un contesto che vede il presidente francese in pieno controllo dell’Assemblea Nazionale e dotato di poteri pressoché assoluti garantiti dallo stato di emergenza, prorogato fino al prossimo 1 novembre.
Macron ha già promesso una legge speciale anti-terrorismo e, d’accordo con Angela Merkel e Theresa May, sta spingendo fortissimo per una decisa stretta sulla Rete al fine di stroncare arruolamento, propaganda e addestramento on-line dei terroristi. Anzi, degli «estremisti di ogni genere», come ha detto Theresa May dopo l’attacco alla moschea di Finsbury Park. Insomma, siamo alle fasi preparative di una vera e propria guerra, il cui obiettivo primario sarà Bashar al-Assad per l’impossibilità di colpire direttamente la Russia, se non con le sanzioni. A questo è servito il Vertice Ue. A questo e a far capire all’Italia che non conta nulla, che i migranti se li tiene e sta zitta e che le carte in tavole torna a darle l’asse renano.
Come abbia potuto Gentiloni restare a quel tavolo, è cosa come mi sconvolge. Ma si sa, qui ci sono i ballottaggi domani, banco che potrebbe far saltare il governo e spalancare le porte al voto anticipato in autunno. E poi ci sono leggi di fondamentale importanza da approvare a tutti i costi, come lo ius soli, il reato di tortura, la liberalizzazione della cannabis e il bio-testamento. Insomma, l’agenda dettata da Repubblica al governo. Con un mandante preciso, lo stesso che ieri ha armato la mano di Juncker contro la proposta della May per intimorirla e spingerla verso i più placidi lidi di un soft Brexit.
A questo punto, non so nemmeno più perché andare a votare. Comincio a pensare che la ricetta di Schumpeter sia ormai l’unica applicabile, almeno per salvare il salvabile. Peggio di così, infatti, è duro immaginare il destino di un Paese con qualche millennio di storia alle spalle.