Su Ilsussidiario.net del 4 aprile Ernesto Galli della Loggia ha acutamente osservato che nell’attuale circostanza storica e politica sono venuti meno i presupposti della solida alleanza fra il cattolicesimo cosiddetto “democratico” (perché ne esiste uno non-democratico, almeno nell’Italia contemporanea…?!) e le forze della sinistra.
È un argomento che merita di essere ripreso – dopo la recente tornata elettorale – alla luce sia dell’evoluzione della cultura della “sinistra” (ed in specie del neonato Partito Democratico) che del dibattito sulla presenza pubblica dei cattolici.
È di tutta evidenza, infatti, che la crisi ed il rifiuto del riferimento marxista e della tradizione del comunismo italiano operata dalla componente diessina del Pd abbiano posto il problema della piattaforma ideale e valoriale di riferimento della nuova formazione politica. Appare di un certo interesse riprendere – in proposito – l’acuta “profezia” di Augusto Del Noce, il quale preconizzò, all’indomani della caduta del muro di Berlino, il destino illuminista (e per certi versi “giacobino”) dei Partiti Comunisti dell’Occidente, che avrebbero mutuato dalla cultura liberal e radicale (e non da quella cattolica “democratica” con cui pure erano in stretto contatto) il fondamento del loro operare e la forma mentis della nuova classe dirigente.
In effetti, la prevalente posizione sui temi etici e sociali (e la stretta alleanza politica con gli stessi esponenti del Partito Radicale) mostra la verità dell’analisi di Del Noce: ad un diffuso relativismo sui temi “sensibili” si è affiancato un certo statalismo (quale unico argine possibile alle derive disordinate di una società fortemente individualista) ed una concezione fortemente legalista in materia di giustizia e di ordine pubblico. Basti pensare, in proposito, all’esasperato utilizzo dello strumento normativo per risolvere le emergenze che via via emergono: dalla sicurezza sul lavoro all’immigrazione, dalla violenza negli stadi alla crisi dell’ordine pubblico, etc.
In un tale quadro, quale è il contributo dei “cattolici democratici”? Anche qui colpisce l’acutezza dei giudizio di Augusto Del Noce, che nel volume Il cattolico comunista (1981) sintetizza il contributo dei cattolici nel Pci come tentativo di “svolgere un’azione demiurgica, giungendo a una nuova idea di rivoluzione, che permetta di conciliare comunismo, cattolicesimo e democrazia” ed individua l’inesorabile rovesciamento dei risultati rispetto alle intenzioni a cui questa linea va incontro, rispetto a tutte le sue finalità: la purificazione della religione, la purificazione della rivoluzione e la purificazione della laicità.
Il rapporto che lega il cattolico democratico al Pd non è altro che una evoluzione (come ulteriore e inevitabile involuzione dell’appartenenza cattolica) del rapporto che – negli anni ‘70 – legava il cattolico comunista al Pci. Infatti, nella attuale congiuntura – ancora spinta dall’onda media provocata dalla caduta del muro di Berlino e dal collasso del blocco sovietico –, l’eredità del Pci inteso non semplicemente come entità politico-partitica ma, in senso ben più ampio, come forza storica, non appartiene certo all’arcipelago che fino a pochi giorni fa costituiva la cosiddetta sinistra radicale (ormai “residuo fisso” della storia), bensì proprio al Pd.
Se è vero che “ora è finito” lo “scenario” nel quale, secondo della Loggia, il cattolicesimo democratico poteva avere senso come tentativo di ponte tra Dc e Pci, si deve tuttavia riflettere circa la natura di quella fine, che non consiste nella semplice scomparsa del Pci, bensì nel suo superamento. Si tratta cioè di una evoluzione, che si realizza appunto in continuità con la medesima forza storica che aveva generato quel partito. Tale forza storica, dice ancora Del Noce, è il giacobinismo, la cui avanguardia è il libertinismo edonista e nichilista. Del resto la storia parla chiaro: a fronte dei modesti e spesso controproducenti risultati ottenuti dal comunismo sul versante della giustizia sociale, è invece clamoroso il successo ottenuto sul campo della rivoluzione sessuale e familiare, laddove il processo di emancipazione da qualsiasi autorità morale diversa dalla libera opinione di ciascuno può dirsi di fatto compiuto. Peraltro già nella neonata Unione Sovietica, per esplicita volontà di Lenin, l’aborto legale diventò fin da subito una realtà, mentre il miglioramento delle condizioni dei lavoratori e dei contadini rimase quella tragica illusione che sappiamo, specie a fronte degli enormi progressi realizzati invece in occidente.
Il Pd costituisce dunque il punto di approdo di quella metamorfosi del comunismo il cui dispiegarsi nella storia era stato descritto da Del Noce con la fortunata e illuminante espressione di “eterogenesi dei fini”: il destino necessario del partito marxista di massa sarebbe stata la sua metamorfosi in un partito radicale di massa. È quanto è avvenuto, come attesta la lapidaria affermazione con la quale Marco Pannella ha spronato i suoi a votare Pd; e non inganni l’epiteto di “male minore”: per il leader storico del pensiero radicale nostrano si tratta del riconoscimento del Pd come dimora naturale. Prova ad contrarium ne sia la considerazione di segno diametralmente opposto con la quale Giuliano Ferrara ebbe modo di indicare nel PdL (più in generale nel centro-destra) la naturale casa politica dei pro life.
Dal canto suo anche il cattolicesimo democratico segna la sua evoluzione; smascherata ormai la sua incapacità di essere ponte tra il cattolicesimo e la modernità, si rivela ormai organico alle forze storiche che hanno generato il Pd; è dunque evidente anche la seconda eterogenesi dei fini prevista da Del Noce, quella per cui i cattolici democratici nel tentativo di liberare il comunismo dall’ateismo, si sarebbero lasciati da quello fagocitare. Il “no” esplicito pronunciato nel 1974 dai cattolici democratici all’abrogazione della legge sul divorzio (preceduto nel 1970 dalla firma democristiana a quella stessa legge e seguito dalla analoga e ancor più tragica vicenda della legalizzazione dell’aborto e del fallito referendum abrogativo) segna la frattura netta (ma sempre mascherata) tra il cattolicesimo democratico e il Magistero della Chiesa. Tale frattura giunge fino a noi nella formula del “cattolicesimo adulto”, che rifiuta l‘astensione chiesta dalla Cei ai cattolici in occasione del referendum parzialmente abrogativo della Legge 40/2004 in materia di procreazione assistita e che, alla prima occasione utile, vara il progetto di legge sulle unioni di fatto. L’ultimo episodio è il rinnovo operato in tutta fretta dal ministro Rosy Bindi, a pochi giorni dalle elezioni, dell’Osservatorio Nazionale sulla Famiglia. Nascosto dietro la foglia di fico del “pluralismo culturale” (espressione del ministro) si tratta di un colpo di mano, che, da una parte, sancisce l’esclusione dei più significativi e autorevoli esperti cattolici, rappresentanti dei centri di eccellenza della “scuola di Bologna” e dell’Università Cattolica e, dall’altra parte, assegna la vicepresidenza a Renato Balduzzi (uno degli estensori del progetto di legge sui Dico) nonché l’accesso come membri di diritto al sindaco di Bologna (Sergio Cofferati) e al Presidente della Regione Puglia (Nichi Vendola).
Tutto ciò non esclude, ovviamente, il fattivo contributo alla sussidiarietà e alla garanzia dei “principi non negoziabili” presente in numerosi esponenti cattolici (e non) della nuova compagine del Pd, ma resta la difficoltà nello scenario attuale di cogliere le contraddizioni di una linea culturale che viene da lontano – quella della cosiddetta “scelta religiosa” – e che ancora condizione il giudizio e l’agire di molti.
Lei disse, in un suo editoriale, che sono venute meno le basi su cui si è fondata l’alleanza politica tra la sinistra e il cattolicesimo democratico. Conferma quel giudizio?
Sostanzialmente sì. Il cattolicesimo democratico aveva una funzione chiara in una situazione in cui i temi di politica socio-economica erano all’ordine del giorno, e in cui, essendoci la DC, i cattolici democratici si ritagliavano il ruolo di fare da ponte con il PCI. Ma tutto questo scenario ora è finito. Per cui i cattolici democratici non possono che far parte del grande esercito dei democratici, ritrovandosi ad essere una componente, neppure troppo importante, di un grande raggruppamento politico, in cui la fede cattolica non ha più nessun rilievo. Le linee divisorie non passano più attraverso i temi della proprietà e la redistribuzione del reddito, ma passano attraverso questioni di carattere immateriale. Su queste questioni è sì importante il tema della fede e dell’appartenenza religiosa, ma è proprio questo che provoca una crisi dei cattolici democratici, i quali, a quel punto, devono decidere se essere cattolici o democratici”.