L’Ambrogino Pisapia. È un principio economico: quando qualcosa si inflaziona vale di meno. Si sa. Ed è quanto sta succedendo agli Ambrogini, i premi che ogni anno il Comune di Milano assegna ai cittadini che hanno fatto qualcosa di significativo, da ricordare. Del premio – e come potrebbe essere diverso – si impossessano i politici che vogliono premiare loro amici o sostenitori, o persone che con le loro azioni sono diventate simbolo di una parte politica. Perciò ogni anno si assiste allo spettacolo poco edificante di una fazione che critica, attacca fino all’insolenza il candidato dell’altra, e viceversa. Per salvare capra e cavoli, come si usa dire, si è presa l’abitudine appunto di allargare il numero dei premiati in modo che questo sistema inflazionistico accontenti un po’ tutti. Succede come nella formazione dei governi: si moltiplicano le poltrone per soddisfare le aspirazioni delle diverse parti che sostengono l’esecutivo. Per gli Ambrogini di quest’anno, il sindaco, Giuliano Pisapia, ha preso in esame un numero davvero considerevole di candidati: quando si presenteranno per la premiazione sembreranno un tour organizzato, di quelli che seguono la guida con la bandierina in mano perché non si perdano. È una strada che ha suscitato molte critiche. Fra queste ce n’è una particolarmente significativa: è una lettera aperta al Sindaco proprio sul tema degli Ambrogini scritta dall’Avvocato Mario Fezzi, milanese doc e uno dei più noti giuslavoristi italiani. Fezzi ha mandato la lettera anche a Giganomics. Ed eccola qui:
“Gentile Signor Sindaco,
Lo spettacolo offerto in questi giorni dal Consiglio Comunale che si è accapigliato per individuare i soggetti cui conferire l’Ambrogino d’Oro e le altre onorificenze milanesi, mi ha ricordato molto da vicino i suk arabi nei quali si contratta su tutto, anche sulle persone (tu dai un Sallusti a me, io do un Cossutta a te…). Peraltro, nulla di nuovo, rispetto agli anni passati. Non credo però che sia questo lo spirito che ha portato all’introduzione delle onorificenze milanesi. Ma credo anche che lo scopo fosse quello di premiare soggetti che si erano straordinariamente distinti per meriti particolari, nella nostra città. Ora, sia detto senza nessuna offesa per i premiati, mi pare anche che negli anni si sia un po’ largheggiato nell’attribuire onorificenze a persone degnissime, ma lontane da quello standard di eccezionalità che dovrebbe contraddistinguere chi viene insignito di un premio così prestigioso come l’Ambrogino. Le chiedo allora di voler seriamente valutare l’ipotesi di modificare radicalmente la procedura per l’assegnazione dell’Ambrogino. Un solo Ambrogino all’anno e solo per meriti davvero straordinari. Se nessuno lo merita, si può anche saltare un anno. In questo modo, deflazionando radicalmente l’Ambrogino, lo si renderebbe automaticamente anche molto più importante.
La ringrazio per l’attenzione che spero vorrà dedicare a questa mia.
Con molti auguri di buon lavoro.
Mario Fezzi”.
Questa era la lettera con la proposta dell’Avvocato Fezzi. Come dargli torto?
Un capo solo in azienda. La vicenda dell’offerta del finanziere egiziano Sawiris (più o meno appoggiato dal messicano Slim) di entrare in qualche modo nell’azionariato Telecom apportando dei capitali, ha messo in luce un problema conosciuto da tempo, ma sempre rimosso per quieto vivere. Quando, il 13 aprile 2011, i soci di Telecom Italia (Generali, Mediobanca, Intesa e Telefonica che la governano attraverso la finanziaria Telco) hanno deciso di ridisegnare i vertici del gruppo di telecomunicazioni, hanno sbagliato. Presidente è stato nominato Franco Bernabè e amministratore delegato Marco Patuano. Ma gli sponsor di Bernabè (che prima era capo azienda nel ruolo di amministratore delegato) volevano che continuasse a contare e gli hanno conferito dei poteri: inferiori rispetto a quelli che aveva prima, comunque sempre ragguardevoli. In particolare, il presidente ha deleghe da capo azienda con il compito di coordinare anche l’amministratore delegato; è responsabile dell’indirizzo strategico dell’impresa e delle operazioni straordinarie e di finanza straordinaria. L’amministratore delegato ha tutti gli altri poteri. È chiaro che una simile ripartizione sembra concepita apposta per mettere in conflitto presidente e amministratore delegato. Cosa che sta avvenendo proprio adesso sotto gli occhi di tutti, soprattutto sotto gli occhi degli operatori del mercato che guardano con interesse a questa partita Telecom e ai suoi possibili sviluppi, e vedono ancora una volta gli italiani comportarsi in maniera dilettantesca. Ci vorrebbe una gestione in piena sintonia di questo dossier, invece Bernabè e Patuano si smentiscono pubblicamente, attraverso interviste sui giornali. Gli azionisti non possono far nulla per mettere fine a questo spettacolo?
La Cina si allontana. Xi Jimping è il nuovo segretario del Partito Comunista Cinese e dal marzo prossimo diventerà anche Presidente. Tutto bene? Il gigante asiatico ha risolto i suoi problemi di successione al potere ed è pronto, sotto una guida salda, ad affrontare un altro lungo periodo di crescita? Non c’è da illudersi. Il PCC è diviso al suo interno in almeno quattro fazioni, le linee strategiche per il futuro non sono nette come in passato, i dati statistici (per quanto possano valere le statistiche cinesi) non sono più la marcia trionfale cui eravamo abituati. Molti imprenditori occidentali che avevano delocalizzato in Cina ora puntano su realtà come Vietnam e Cambogia. Ma il fatto davvero nuovo è che adesso seguono il loro esempio anche molti imprenditori cinesi: preferiscono abbandonare le attività produttive nel loro Paese perché temono che, nel giro di qualche anno, potranno esserci problemi politici e sociali seri. Meglio andarsene per tempo