Diciassette anni di annunci. Ora, finalmente, qualcosa si muove. Epocale o non epocale, strumentale o disinteressata, legata ai processi o slegata (ma è evidente che è slegata), questa riforma accorcia la distanza che separava le attese dai fatti. E ci consegna idealmente un processo più giusto e un sistema più adeguato agli standard europei di giustizia. Non sono chiacchiere. E ci vuole poco per capirlo. Nel 1989, un’altra riforma, quella del codice di procedura penale, ci aveva portato in regalo il meglio della cultura americana: Perry Mason. Dalla tv alle aule di giustizia italiane.
Ma ben presto si era capito che i nostri dibattimenti non avrebbero replicato i telefilm made in Usa. Il nostro ordinamento, la piattaforma su cui si appoggiava il nuovo processo era ed è rimasta vecchia. Il pm e il giudice sono gemelli monozigoti, hanno la stessa cultura, la stessa carriera, lo stesso Csm, bevono insieme il caffè e magari vanno pure al ristorante a braccetto. Difficile dunque immaginare che per incanto il giudice diventi terzo, assolutamente terzo come dicono i tecnici, nel duello fra accusa e difesa, fra pm e avvocato, che costituisce la sostanza del nuovo rito processuale.
La riforma, la riforma del processo è rimasta incompiuta, come spesso capita nel nostro paese. Ora, finalmente, si prova a colmare quel gap. Carriere separate, due Csm, e, altro dato importantissimo, una corte di disciplina esterna. Intendiamoci, molto, moltissimo dipende dalle persone: ci sono già fior di giudici che non hanno bisogno di alcun ritocco legislativo per esprimere la propria autorevolezza ed equidistanza dalle parti. Ma il cambiamento è importante, il cambiamento è il segno che la contiguità è finita ed è la garanzia che accusa e difesa staranno sullo stesso piano.
Insomma, l’architettura del nostro ordinamento giudiziario diventerà coerente col nostro codice. E l’alta corte darà impulso ad un sistema disciplinare che nel passato ha funzionato a intermittenza; anche in questo caso, nulla è scontato e nulla è automatico, ma il segnale che arriva è chiaro: dovrebbe andare in pensione una logica corporativa e quindi perdonista e autoassolutoria, che tanti danni ha provocato.
Certo, la bagarre sulla giustizia proseguirà e s’inasprirà. Ma c’è da sperare che il “prototipo“ appena uscito dal Consiglio dei ministri non si fermi subito. Molto dipenderà dal possibile incrocio con le leggi cosiddette ad personam (che sono un’altra cosa e formano un altro pacchetto) e con i processi e le inchieste che stringono d’assedio il Cavaliere. Il poker di procedimenti in corso a Milano, a cominciare da quello per Ruby che nelle intenzioni della Procura dovrebbe essere l’equivalente del processo Cusani alla prima repubblica, con il drammatico interrogatorio di Craxi e la bava alla bocca di Forlani. E dovrebbe quindi portare alla sbarra non solo il Cavaliere ma anche il berlusconismo e un’epoca intera.
E poi l’indagine sulla cosiddetta loggia P4, la potentissima lobby che faceva capo al finanziere Luigi Bisignani, su cui indaga il solito onnipresente Henry John Woodcock. Da giorni il tam tam annuncia arresti imminenti e si rincorrono le voci che portano fino a Gianni Letta. Il lungo cammino della riforma «epocale» è appeso anche a Ruby e a Bisignani.