Qualche settimana fa la decisione di Pimco di tagliare a “neutral” il debito italiano era giustamente salita agli oneri della cronaca. L’Italia era stata definita un Paese emergente senza valuta locale fotografando in modo crudo ma efficace tutte le contraddizioni dell’Italia e della sua appartenenza all’euro e al progetto europeo: un Paese con tanta disoccupazione, tanto debito, poca crescita e nessuna flessibilità valutaria o di spesa. La conclusione di Pimco era che un rendimento del 2% è troppo poco rispetto ai rischi italiani. Lo Stato italiano dovrebbe pagare di più, ma, ovviamente, questo peggiorerebbe lo stato dell’economia. Ieri Scott Mother, Chief investment officer di Pimco, ha ribadito il concetto aggiungendo alcuni punti interessanti. Per capire bisogna fare alcuni passi indietro.
La questione che preoccupa gli investitori globali è molto più ampia del Btp italiano o dello “spread”. L’Italia e il suo debito sono influenzati da 8 anni di politiche di immissione della liquidità senza precedenti, ma questo si applica a tutti gli altri stati e a tutte le altre economie; in maggiore misura in Europa, e ci torneremo dopo, perché scegliendo l’austerity ha inasprito la crisi, perché ha tardato moltissimo a mettere in campo la sua banca centrale e perché pezzi di economia, alcuni sistemi bancari, hanno subito le conseguenze delle lotte interne ai Paesi membri. Ma il 2% dell’Italia non ha meno senso dello 0% a dieci anni della Germania. Tutte le obbligazioni sono “fuori fase” rispetto a qualsiasi buon senso prima che alle medie storiche.
Le questioni che si pongono oggi sono due. La prima è se alcune economie e i mercati finanziari possono sostenere un rialzo dei tassi. Se un rialzo dei tassi mandasse in crisi il sud Europa o si traducesse in pressioni insostenibili per i mercati o per le fragilità dell’economia Usa sarebbe un problema di tutti. Questo vale anche per i Paesi virtuosi. La Germania con il suo surplus non è un Paese marziano. L’attuale posizione della Germania – valuta debole surplus mostruoso e zero redistribuzione nell’area euro – va bene solo nella misura in cui il continente non collassa sotto il peso di uno squilibrio insostenibile per una valuta unica. Se i mercati finanziari ci presentassero un’altra crisi sarebbe un problema per tutti. In questo senso anche lo 0% tedesco non ha senso.
La seconda questione è questa. Se ci fosse un’altra recessione globale quali sarebbero le munizioni delle banche centrali? I tassi sono già ai minimi storici e tassi negativi sono solo una soluzione teorica. Non si capisce come reagirebbero i risparmiatori se scoprissero che ogni anno la banca prende una certa percentuale dei risparmi al posto di corrispondere un tasso di interesse. Supponiamo però che questa ricetta teorica possa funzionare, rimarrebbe la questione che le sole immissioni di liquidità non funzionano dato che si gonfiano solo enormi bolle finanziarie e gli stipendi di quell’1% che ne beneficia che poi lascia parcheggiati i soldi.
Queste questioni interrogano gli investitori globali che si rendono conto che oggi sarebbe quasi impossibile rispondere a uno shock sull’economia globale con le stesse armi di prima. Servirebbero ricette nuove che probabilmente devono passare da un intervento diretto degli stati in economia e da più protezionismo che eviti una deflazione globale. In questo scenario l’Europa è un osservato speciale. Ieri Scott Mather, Chief investment officer di Pimco, diceva: “L’Eurozona ha davanti a sé due strade” e ormai la “strada obbligata sembra portare a una maggiore integrazione, fiscale e politica”. “Bisognerà vedere quanto ampia sarà quest’area comune e quale sarà il prezzo da pagare per i paesi che ne faranno parte”. Ma è lo stesso Mather ad aggiungere: “Come investitore resto scettico di fronte al progetto europeo”, spiegando che un rischio per la tenuta dell’Eurozona potrebbe arrivare dalla prossima recessione e da come sarà gestita dalla Bce e dai vari paesi membri.
Mentre il resto del mondo reagiva immediatamente alla crisi del 2008 con immissioni di liquidità mostruose e nessuna stretta fiscale lasciando che i debiti pubblici esplodessero, l’Europa speculava contro alcuni Paesi membri aspettando a lanciare il Quantitative easing e in più obbligava un terzo dell’Europa a un’austerity senza senso; questo senza mettere mano a nessuno degli squilibri che oggi anzi continuano ad allargarsi: aree con performance economiche diversissime ma stessa valuta, stessa banca centrale e nessun meccanismo di redistribuzione interna con invece aliquote fiscali diverse.
Se il resto del mondo faticherà in caso di nuova recessione, in Europa è tutta l’attuale costruzione europea che rischia di saltare perché nessuno dei rimedi che dovranno essere presi in considerazione verrà attuato in una costruzione che subordina l’interesse comune a quello del singolo membro. Ai membri più deboli economicamente non verranno permesse o concesse le stesse flessibilità fiscali di quelli più forti allargando la forbice a livelli insostenibili.
Pimco vede chiaramente il problema e prende decisioni di investimento conseguenti.