«Bersani come Hollande, la “forza tranquilla”». Così la pensano quei democratici alla Franceschini che vorrebbero chiudere la partita della leadership del centrosinistra puntando tutto sul segretario del Pd. «Le primarie del 2009 non lo legittimano, lo sfido», replica Matteo Renzi, il “rottamatore”. A turbare il sonno dell’ex ministro dell’Economia, più che le parole del sindaco di Firenze, arrivano però quelle del Professore del centrosinistra, Romano Prodi («Come pensa di fare l’Hollande, con la legge elettorale che propone?»).
«Il fatto è che questo voto, da un lato ha permesso al Partito Democratico di tirare un sospiro di sollievo – spiega Peppino Caldarola a IlSussidiario.net –, dall’altro gli ha restituito i problemi che lo affliggono da molto tempo».
A cosa si riferisce?
Innanzitutto i contenuti su cui costruire le alleanze, poi il tipo di alleanze e infine la leadership. Tre questioni che tornano prepotentemente in primo piano a pochi mesi dalle elezioni politiche.
Che indicazioni utili ha dato però il primo turno delle amministrative?
A mio avviso i democratici portano a casa una parziale vittoria, molto debitrice degli errori altrui più che delle proprie virtù. Il Pd, infatti, ha vinto laddove il centrodestra si è sgretolato a causa della fine del modello berlusconiano e di quello leghista. Anche se è comunque da sottolineare la tradizionale capacità di schierare candidati più credibili rispetto al campo avversario.
Dopodiché ci sono stati anche casi di grande sofferenza.
Come ad esempio?
A Genova, chi aveva battuto alle primarie i candidati democratici andrà al secondo turno, anche se tutti lo davano per favorito. Dopodiché c’è lo spinosissimo caso di Palermo. Qui uno degli sconfitti si è candidato ugualmente e si appresta addirittura a vincere. Ne consegue che le elezioni primarie non possono essere né la “regola aurea”, né la soluzione ai problemi del centrosinistra. Anche perché, da Leoluca Orlando in poi, chiunque si sentirà autorizzato a non rispettarne l’esito.
Come può incidere questo quadro sulle alleanze del futuro e sui contenuti su cui si baseranno?
Vede, un anno fa Bersani teorizzava uno schema di alleanze a “cerchi concentrici”. Nel primo cerchio avrebbe dovuto esserci l’alleanza di sinistra, nel secondo quella allargata ai moderati.
Nel frattempo cos’è cambiato?
Il caso francese dimostra che una forza riformista e socialista può battere il candidato avversario senza aver bisogno di una forza moderata alla sua destra.
Nel caso italiano poi la questione rischia di essere davvero buffa. Casini, infatti, è un personaggio che non sa ancora dove collocarsi e che sembra comunque maggiormente orientato verso il centrodestra. Probabilmente, più che inseguire alleati sfuggenti, Bersani farebbe bene a stringere un patto di contenuti con Nichi Vendola.
Si tornerebbe così alla foto di Vasto?
Forse la formula più giusta è quella che ha indicato Riccardo Nencini, segretario del Psi: costruire la “casa dei riformisti” in cui ciascuno mantenga la propria identità, basandosi però su un comune programma riformistico e di sinistra. Una casa in cui possono stare tranquillamente Pd, Sel e Psi. Dopodiché sarà possibile aprire un tavolo di trattative vincolanti con Di Pietro. Tenendo presente che oggi il leader dell’Idv è un’“anatra zoppa”, limitata da Grillo.
Non dico che non sia giusto tenere d’occhio Casini, ma continuare a inseguirlo potrebbe essere un grosso rischio.
Arrivando al terzo punto critico, chi può competere realmente sul terreno della leadership con Pier Luigi Bersani?
Matteo Renzi ha fatto un primo passo, ma continua a proporre se stesso e non una nuova proposta politica. Nichi Vendola potrebbe avanzare un’autocandidatura, anche se fino ad oggi non ha rotto gli indugi.
Tutto questo lascia pensare che Bersani debba combattere contro l’ombra di un “papa straniero”, la cui identità è sempre più sfuggente. Montezemolo, infatti, farà parte con ogni probabilità del rassemblement dei moderati.
Le critiche di Romano Prodi a Bersani sono da leggere all’interno di questa partita?
A mio avviso l’Espresso le ha volute enfatizzare. Prodi, infatti, ha criticato soltanto la legge elettorale “alla tedesca”. Il fatto che i prodiani insistano con il maggioritario non implica una dissociazione da Bersani, anche se è un segnale che il segretario dei democratici farà bene a tener presente.
(Carlo Melato)