La combinazione di tre elementi in questi giorni potrebbe proiettare il Paese verso direzioni inattese alle elezioni previste per la primavera dell’anno prossimo.
I tre elementi sono la frenesia caotica del capo del Pd Matteo Renzi, il senso di sicurezza della vittoria siciliana del centrodestra guidato in loco da Nello Musumeci, e infine le nuove regole finanziarie per la zona dell’euro che arriveranno dall’Unione Europea.
Andiamo in ordine e vediamo le conseguenze.
Renzi ha da affrontare tre nuove sconfitte. La prima sulla Banca d’Italia. Si era scagliato contro il governatore uscente Ignazio Visco ma questi ora è stato riconfermato. I maniaci del complotto possono dire: ma lui ne è uscito bene, perché ha fatto mostra di difendere i risparmiatori contro la mala gestione di Visco, ha assolto il suo compito di denuncia e poi si è piegato alla scelta del suo partito, il Pd. Dalla distanza questa interpretazione pare troppo contorta e nega il dato di superficie (quindi più evidente e vero): Renzi si è schierato contro Visco e Visco è stato confermato.
Il secondo elemento è il treno per l’Italia. Doveva essere un viaggio di trionfo e si sta trasformando in una tragedia. Al di là di quelli che protestano a ogni suo arrivo, resta lo sconcerto dei tanti che lo hanno incontrato da vicino. Lo dicono distratto, non focalizzato, attento allo show ma non alla realtà degli incontri. Il risultato è che oppositori o sostenitori stanno uscendo dal viaggio più sicuri della debolezza di Renzi e non della sua forza.
Il terzo elemento è la Sicilia. I sondaggi dicono che il Pd non ce la farà ad arrivare allo spareggio e anzi potrebbe arrivare buon quarto nella contesa elettorale. Nessuno crede davvero che il Pd possa vincere. Dopo questo disastro annunciato, che si somma agli altri due, cosa farà il suo partito? La posta non è vincere alle prossime elezioni ma più direttamente gestire le candidature. Da una parte è difficile scegliere tra conservare o scartare Renzi, cosa che in ogni caso indebolirebbe il partito. Ma sconfitta per sconfitta, il partito vorrà dare a Renzi il potere di scegliere i suoi prossimi parlamentari quando forse tre quarti rischiano di trovarsi disoccupati?
Questa confusione si riflette sul centrodestra. Quasi sicuro della sua vittoria elettorale in Sicilia, pensa che potrebbe vincere in primavera e sono cominciati i calcoli su chi possa essere il primo alleato. Il Pd certo, ma guidato da chi? Il trait d’union naturale è Verdini, vicino a Berlusconi e Renzi. Quindi un ritorno di Berlusconi comporterebbe anche Renzi capo del Pd al traino. Ma in questa catena ci sono tutti anelli deboli. Berlusconi, anche se sdoganato, non è trionfante, di Renzi si è detto, e di Verdini è debole di suo (sospettato di tutto e di peggio, transfugo). Berlusconi lo sa. La catena è di debolezze e sa che conservarla lo indebolisce e rischia di affossarlo, ancor prima del suo ritorno. Come fare a ri-orizzontarsi? Facile qui inciampare, tanto più che c’è l’altra parte del partito a cui pensare, quello che ha bisogno della Lega, divisa tra tre anime, quella veneta, di Zaia, lombarda di Marroni e nazionale di Salvini.
Anche perché c’è il terzo quadrante. In questi giorni Francesco Giavazzi prima e Lucrezia Reichlin dopo hanno cercato di portare all’attenzione pubblica la delicatezza della trattativa in corso a Bruxelles. I due dicono in sostanza: dall’esito della trattativa si deciderà cosa sarà dell’Italia nei prossimi anni, quindi è bene che Roma partecipi attivamente alla discussione. Al momento nessun politico però ha formulato un interesse pubblico alla vicenda. Ma soprattutto, qualunque sia il compromesso di Bruxelles, un esito è chiaro, l’Italia avrà una camicia di forza. Sarà messa in grado di non nuocere a sé o agli altri membri della Ue. Benissimo, e dunque? Ciò ha una conseguenza importante.
Di fatto, questo sdogana i 5 Stelle o qualunque altra forza antisistema. Se il debito pubblico italiano viene neutralizzato, chiunque vada al governo ha pochi mezzi per fare danno. Ergo scompare il babau per il M5s. Nonostante il loro dilettantismo, l’impreparazione e tutto il resto loro possono anche andare a governare: avverrebbe su scala nazionale ciò che avviene per il governo di Roma.
Infatti la Raggi non riesce a parlare, non sa cosa fare, combina un disastro al giorno, la spazzatura è diventata ingovernabile, i trasporti si stanno paralizzando. Ma tutti sanno che più di tanti danni non potrà fare, perché in ogni caso dietro c’è lo stato che raccoglierà i cocci e lei non arriverà a sfidare le grandi regole. Lo stesso varrà domani con il governo nazionale. Luigi Di Maio non sa quello che dice, non risponde alle domande, lancia parole in libertà senza un filo di senso comune o di logica? Il governo vero del paese sarà a Bruxelles.
Per alcuni quella del M5s potrebbe essere come la spedizione dei Mille: doveva liberare la Sicilia dai Borboni, divenne invece un’occasione per fare affari, e per alcuni garibaldini o loro sostenitori intraprendenti la chance di fare fortuna. È la storia d’Italia, quella del Gattopardo, quella che sta scritta nei completi sartoriali di Di Maio: è l’occasione della mia vita, sono in vendita a Bruxelles, pronto a piegarmi a ogni diktat pur di essere sdoganato al governo di Roma. Del resto i suoi avversari sono pronti a fare lo stesso.
Alla fine, per eccesso di offerta, i franco-tedeschi oggi al comando non hanno bisogno di comprarsi i 5 Stelle; in realtà non hanno bisogno di comprarsi nessuno, perché tutti sono pronti a regalarsi. I grillini sfasceranno l’Italia? Sarebbe terribile, ma alla fine sarebbero fatti loro, tanto c’è la clausola che prevede il default del debito. Sarebbe meglio del comune di Roma, dove la Raggi non può essere lasciata fallire. Nel caso di Di Maio, come per la Raggi, la colpa non sarebbe loro, ma solo e sempre degli altri, quelli che c’erano prima, brutti e cattivi.
La confusione nel Pd, e il fatto che il centrodestra si senta da una parte troppo sicuro e dall’altra sia ancora confuso su stesso, tutto ciò lancia il M5s verso il governo. Questa legge elettorale alla fine lo favorisce, e veti da Bruxelles non ce ne saranno. La prospettiva quindi, che vincano o perdano in Sicilia, è molto reale. E poi, ai Gattopardi l’Italia è abituata.