Secondo recenti dichiarazioni di Sergio Marchionne, la prima Fiat-Chrysler arriverà sul mercato entro la fine del 2011, in anticipo significativo rispetto al 2013 che era la data fissata lo scorso novembre quando è stato presentato il piano prodotto 2010-2014 di Chrysler.
Questa vettura rappresenta per il Gruppo Fiat un importante banco di prova, in quanto dal suo successo o insuccesso si potrà valutare la capacità del Gruppo di proporsi come un produttore di auto realmente globale.
Fiat è già da molti decenni un produttore globalizzato, tanto che il suo mercato più significativo è il Brasile, però fino a oggi tutte le decisioni di globalizzazione sono state prese a Torino, esportando in altri continenti le caratteristiche peculiari vincenti del Gruppo, quali la capacità di produrre in modo estremamente efficiente grandi volumi di autovetture di medio-piccola cilindrata, caratterizzate sia da una notevole innovazione frutto di ricerche avanzate, sia da un design molto accattivante.
Oggi Fiat si trova nella situazione di poter far leva su strutture produttive e distributive di un ex-concorrente. Situazione già vissuta in realtà da Fiat se si pensa alla storia di acquisizione di marchi che ha caratterizzato la crescita del Gruppo, per la prima volta però questa acquisizione riguarda un produttore non nazionale. La vera sfida per il Gruppo diventa quindi la capacità di integrare le reti di fornitura, di produzione e di distribuzione in modo efficiente su una scala planetaria.
Non è quindi una sfida di globalizzazione, quanto una sfida di integrazione di diverse culture gestionali distribuite in giro per il mondo. La produzione a Mirafiori è infatti controllabile dall’headquarter torinese tanto quella degli stabilimenti localizzati in Polonia o in Brasile, visto che oggi la tecnologia permette virtualmente di “azzerare” le distanze e di assicurare tempestività di comunicazione.
La difficoltà che Fiat deve saper superare sono legate alle prassi gestionali, che negli stabilimenti ex-Chrysler non sono state plasmate dai manager della casa torinese. La cultura gestionale Fiat deve quindi calarsi su stabilimenti che sono stati progettati e gestiti fino a oggi con logiche differenti, ostacolo tutt’altro che trascurabile, anche se la recente comunicazione di Marchionne fa intendere che Fiat abbia imboccato la strada giusta e stia procedendo nell’integrazione anche più velocemente di quanto previsto inizialmente.
A questo punto viene da domandarsi se per Fiat sia ancora conveniente (o fino a quando) produrre autovetture in Italia. La tendenza dei costruttori di auto dei segmenti in cui Fiat compete è di cercare di localizzare gli impianti quantomeno nei continenti dove le stesse autovetture sono vendute.
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È chiaro a tutti come oggi i mercati in forte crescita siano “lontani” dall’Italia. In Brasile la presenza di Fiat è già fortemente radicata, in India il Gruppo ha vissuto vicende con alterne fortune, in Cina probabilmente, se si escludono i veicoli industriali dove Iveco gioca un ruolo importante, c’è ancora molto mercato da sviluppare.
Ma il fatto che i mercati dei paesi BRIC abbiano tassi di crescita notevoli non deve far dimenticare che il mercato europeo rimane un mercato con volumi tutt’altro che trascurabili, anche se probabilmente ormai “saturo”. Queste considerazioni spingono a pensare che anche in futuro l’Italia rimarrà un grande polo industriale per il Gruppo, anche se sicuramente i maggiori sviluppi sono da attendersi all’estero.