«Ormai è sotto gli occhi di tutti: la maggioranza è nel pallone. Credo però che sia un errore grave andare a votare in un momento di turbolenza economica mondiale e con una legge elettorale così contestata. D’altra parte, andare avanti altri due anni in una condizione di “non governo” è un lusso che non possiamo permetterci». Marco Follini, già vice-premier di Berlusconi, oggi Senatore del Partito Democratico, intervistato da IlSussidiario.net distingue tra auspici e previsioni: «Continuo a essere tra quanti si augurano che la legislatura possa andare avanti. Non solo, se vivessimo il tempo di una politica accettabile tutti si darebbero da fare per riempirla di contenuti. Sembra però troppo tardi. A questo punto, anche se il ricorso al popolo non è da considerarsi una sciagura, una classe dirigente saggia e consapevole delle difficoltà dovrebbe riuscire a individuare un altro percorso».
Qual è la sua proposta?
Un governo di larghe intese. Il Paese ha bisogno di ricucire alcune delle sue fratture. Un bipolarismo giocato sulle estreme e intriso di valori populistici ci ha tenuto lontani dai modelli di alternanza europea che ci eravamo prefissati.
Con quali obiettivi? Solo quello di una nuova legge elettorale?
Assolutamente no. Per prima cosa dovremo occuparci di economia. Guardiamo all’imponenza della manovra economica che ha fatto la Merkel, alla Francia messa sottosopra dalla riforma delle pensioni o all’Inghilterra, dove il nuovo premier ha tagliato 500.000 posti del pubblico impiego. Non lo dico perché queste siano ricette obbligate, ma perché da altre parti la politica è concentrata sulle vere priorità, mentre noi ci siamo costruiti un castello di priorità immaginarie (la giustizia per la maggioranza, la legge elettorale per l’opposizione) che allontana la politica dalla realtà e il Paese dai suoi competitori.
Quali sono le ricette che ha in mente?
Secondo le nuove regole europee il peso del debito e del deficit aumenteranno e il rigore nei conti pubblici si imporrà più di prima. Dovremo tagliare alcuni capitoli di spesa per poter, dall’altro lato, abbassare la pressione fiscale e indirizzare meglio le nostre risorse. I tagli lineari e indiscriminati non sono però la soluzione perché non contengono una visione politica, economica e sociale di cui il Paese ha bisogno. È su questi temi che si formerà non solo la prossima maggioranza, ma anche la prossima generazione di politici.
Chi ha le carte in mano per guidare la transizione?
Occorre necessariamente che nel centrodestra si muova qualcosa. Non mi riferisco all’“anomalia preziosa” di Fini, ma a qualcuno che oggi è all’interno del quartier generale berlusconiano…
Più volte si è parlato di un governo tecnico guidato da Tremonti…
La disputa sui nomi non mi appassiona, se cominciamo da quella rischiamo di non andare da nessuna parte. Detto questo, a Tremonti riconosco il merito di aver tenuto in ordine i conti in questi due anni, ma ritengo che sia sua la responsabilità di non avere messo mano alle riforme strutturali dell’economia e contesto il suo ruolo di Lord protettore della Lega.
Se la priorità è l’economia e scarta l’ipotesi Tremonti cosa ne dice di Draghi?
Il Governatore della Banca d’Italia è sicuramente una risorsa per il Paese. Una risorsa suo malgrado, perché non credo che abbia una spiccata vocazione politica…
Secondo lei per avere successo il governo tecnico dev’essere comunque guidato da una figura di rilievo del centrodestra?
La transazione la guida chi ci crede, non si può precettare un leader. Berlusconi ha governato sulle divisioni: ha sparso molto sale sulle ferite che già c’erano, qualche ferita l’ha inferta di suo pugno, si è fatto forte della sua tifoseria e ha acuito la distanza dai sui avversari. In tutti i Paesi dove la democrazia è più solida funziona in modo diverso: i leader lavorano per unire e cercano di avvicinarsi il più possibile all’interesse generale. Questo è ciò di cui abbiamo bisogno.
La legge elettorale andrà comunque cambiata? Al di là delle dichiarazioni, non è che la possibilità di “nominare” fa ormai comodo a tutte le segreterie di partito e non solo a Berlusconi?
In effetti questa legge non è nata sotto un cavolfiore. C’è un composito e variegato numero di segretari di partito che sfruttano questa possibilità, salvo poi lamentarsene in pubblico. Oggi però la situazione è insostenibile anche secondo quanti l’avevano promossa. Li accolgo volentieri nel club degli oppositori.
Come cambiarla?
Bisogna ricostruire un vincolo di rappresentanza tra l’elettore il deputato o il senatore che sta in Parlamento anche per suo conto. Bisogna poi riaprire una contesa perché siamo fuori da ogni logica di competizione democratica.
Passando al Partito Democratico, i sondaggi evidenziano un calo preoccupante. Colpa dello “scivolamento a sinistra”?
C’è una parte di elettorato berlusconiano non troppo ideologizzato che sta iniziando a cambiare idea. Penso che il primo sguardo vada dato in quella direzione, a quelle persone, a quegli ambienti, a quelle critiche che iniziano a levarsi anche dentro l’insediamento più tradizionale del Pdl. Per questo dobbiamo rafforzare il nostro profilo riformista, dialogando più con il centro che con l’estrema sinistra.
Inseguire Vendola può essere pericoloso per il Pd?
Io sono per la modica quantità. Se ci trovassimo in una compagnia in cui c’è Vendola, Di Pietro e qualche altro frammento di sinistra avremmo compiuto un gigantesco balzo all’indietro verso la “gioiosa macchina da guerra” del ’94. Su alcune delle cose che ha detto Vendola si può ragionare, ma non alle sue condizioni.
Riguardo a Di Pietro?
Pesa negativamente l’esperienza di questi due anni. Abbiamo fatto insieme la campagna elettorale, anche se io, per usare un eufemismo, ero molto perplesso. Alla prova dei fatti però non ha funzionato. Se ci fosse un ripensamento sarebbe liberatorio per tutti…
Chiudere all’Idv e limitare Vendola aprirebbe le porte di un’alleanza al centro?
Che bisogna essere molto attenti a ciò che si muove nel cosiddetto Terzo Polo è una cosa che ormai dicono tutti, anche lo stesso Franceschini che, con una discreta evoluzione del suo pensiero, si è proposto come interlocutore.
Ai miei vecchi amici centristi, di cui conosco benissimo i pregi e qualche difetto, chiedo però di uscire da uno schema di equidistanza un po’ fasullo, che li porta spesso a fingere che Pdl e Pd siano la stessa cosa. Se ritengono che l’esigenza principale del Paese sia la fuoriuscita dal berlusconismo si può apre un nuovo cantiere, altrimenti signiifica che, nonostante tutto, pensano ancora di avere una collocazione naturale all’interno del centrodestra.
(Carlo Melato)