Gli scontri interni alla Lega avvengono ormai alla luce del sole. Se fino a poco tempo fa il dissenso rimaneva secretato tra le mura del partito, mentre all’esterno si continuava ad avere l’impressione di un movimento monolitico, oggi non è più così. «Lo scontro in atto è inedito, certo. Ma il metodo è sempre lo stesso. Quello della setta: non bisogna fare entrare gente nuova. E stroncare sul nascere chi sta diventando troppo popolare, indipendente e libero», denuncia, senza mezzi termini Luigi Moncalvo, giornalista ed ex direttore de La Padania, raggiunto da ilSussidiario.net. Ma cos’è accaduto, esattamente? Ieri, anzitutto, due filmati, girati da alcuni militanti, hanno testimoniato quanto le contestazioni avvenute nel corso del congresso di Varese fossero dure. Oggi è la volta di Verona. Dove al popolare sindaco del Carroccio, Flavio Tosi, non è bastata l’accusa di fede maroniana (è considerato un fedele del ministro Maroni) o del reato di lesa maestà per aver contestato la leadership di Berlusconi; nel corso della trasmissione La zanzara su Radio24 si è spinto a dichiarare: «l’alleanza Lega e Pdl non l’ho mai messa in discussione, quella del premier sì, perché non ho un ruolo nel Parlamento e le mie battaglie sono utili a quelli che stanno a Roma. Molti dirigenti della Lega la pensano come me». Poi, ha aggiunto: «Molti deputati in certe votazioni hanno avuto il voltastomaco». Immediata e durissima la reazione di Bossi. Che, in Transatlantico, ai cronisti che gli chiedevano un commento, ha alzato il dito medio chiosando: «Tosi è uno stronzo». Non solo. Il Senatur, facendo intendere come, dopo i fatti di Varese, le espulsioni siano nell’aria, ha imputato le contestazioni ai «fascisti». «An – ha rivelato – aveva messo un po’ di gente. Il segretario provinciale, che ho mandato via, ha dato la tessera a un po’ di loro e la base ha chiesto di andare via dal partito». Ebbene: secondo Moncalvo, «i video di Varese sono estremamente sintomatici di quanto sta accadendo. Si vede, in particolare, l’ex sindaco di Buguggiate raccontare che, ai tempi dell’ictus, quando Bossi venne portato, in Svizzera, il segretario provinciale di Varese, Tarantino, indisse una riunione straordinaria per manifestare il suo appoggio al Senatur e difenderlo. Nella stessa riunione, molti sciacalli ne stavano già celebrando i funerali, per spartirsi il potere. Bossi, venendo a conoscenza dei fatti, per liquidare la questione, non esitò ad attaccare anche lo stesso Tarantino, affermando che avesse sin lì svolto un pessimo operato». L’aneddoto, getta una nuova luce sui fatti che riguardano Tosi. «Alla base dell’attacco nei suoi confronti, c’è la stessa ratio. Chi, infatti, stabilisce che è un vero leghista o meno? I soliti “pretoriani” che non hanno un globulo verde di leghismo».
Mentre Bossi non si fa scruopli a farsi scudo di chi un tempo (ma anche oggi) brama la sua uscita di scena. Un altro particolare presente nei video fa comprendere lo scenario. «Ogni tanto viene inquadrato Maroni. Impassibile. Dà l’impressione di una persona sulla riva del fiume che attende il passaggio del cadavere del suo nemico. In altri tempi si sarebbe alzato e schierato da una parte o dall’altra». Tutto questo ha origini lontane. «Tutto è iniziato l’11 marzo 2004. Quando Bossi fu colpito dall’ictus. Quando andai all’ospedale di Varese – racconta Moncalvo –, vidi, da una parte, i militanti dalle mani callose, quelli veri e senza poltrone che piangevano; dall’altra, il leghisti con le poltrone, che facevano già i calcoli sul dopo-Bossi. E’ in quel momento che nasce l’aspirazione di molti alla successione. Sono gli stessi che, ora che le sue condizioni stanno peggiorando, attendono con ansia il suo definitivo declino». Ebbe, Tosi si trova in una singolare situazione: «deve vedersi giudicare da persone che hanno fatto, ai tempi, gli sciacalli con Bossi. Viene, ormai, considerato un cane in chiesa». Ma la sua colpa, in realtà, è un’altra: «è quella di avere dei voti, di essere popolare. E di essere veneto. Sono lì, infatti, i voti della Lega. Sono state lì le epurazioni. E sono in pochissimo, adesso, nella Regione, a spartirsi il potere. Praticamente, non ci sono leghisti veneti seduti su poltrone romane. Ma ci sono tanti sindaci che si sono guadagnati l’elezione sul campo. Tosi appartiene alla categoria di chi ha ricevuto un’investitura popolare». E i soliti colonnelli, non lo digeriscono. «Si troverà ben presto in una sorta di tritacarne in cui ne diranno di tutti i colori. Quando cacciarono Farassino dissero che lo avevano trovato in un cinema a luci rosse a Torino. Del fango, fu gettato addosso anche a gente come Comencini, Rocchetta e Comino. Del resto, se Tosi si dimettesse, sarebbe la sua fine politica».
(Paolo Nessi)