Le giornate tormentate di Borsa lasciano sempre il segno in questo periodo e offrono scenari differenti nel giro di poche ore. La volatilità è sempre all’ordine del giorno e quindi l’incertezza delle previsioni è costantemente la “regina del mercato”.
Nei giorni scorsi c’era un titolo in controtendenza, quello di Telecom Italia. Ma proprio nel momento in cui si pensava a un consolidamento, seppure su un valore basso, anche in previsione della riunione del consiglio di amministrazione della società di telecomunicazioni italiane del prossimo 6 dicembre, è arrivata la “gelata” di ieri, con un arretramento di oltre tre punti in percentuale, (e nel corso della seduta il titolo è andato sotto anche di cinque punti) che inchiodano il valore dell’azione Telecom a poco più di un euro. Le cosiddette soglie psicologche sono state tutte superate.
Ma il problema Telecom, al di là della grande crisi finanziaria che ha travolto tutti i listini e quindi per trascinamento anche il valore del colosso italiano delle telecomunicazioni, sta arrivando a una svolta decisiva. Il 6 dicembre c’è un impegno importante: la presentazione del nuovo piano industriale, su cui alcuni soci stanno insistendo e puntando, con varie dichiarazioni, da ormai un anno per ridare appeal a un gigante che sembra, se non ammalato, almeno “addormentato”.
Prima del mese del “grande ribasso” sui mercati, quello di ottobre, l’amministratore delegato, Franco Bernabè, aveva fatto alcune dichiarazioni significative: la presentazione di un nuovo piano industriale di rilancio, che sostanzialmente correggeva quello dello scorso febbraio, apparso di basso profilo; l’annuncio della volontà di nuovi soci a entrare nella società (e le indiscrezioni, non confermate da Bernabè, si riferivano ai Fondi sovrani libici e a quelli di alcuni Stati del Golfo); una nuova prospettiva sui problemi della rete, in accordo con l’Agcom, e un piano di investimenti a lunga scadenza per la rete di nuova generazione. Su quest’ultimo punto c’erano state anche dichiarazioni governative a supporto. Più in generale però, era stato lo stesso Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, a parlare in televisione di nuovi soci in una Telecom da rilanciare e “da mantenere italiana”.
Tutto questo sembrava aver calmato una sorta di nervosismo che si percepiva sia in Telco, la holding azionista di riferimento di Telecom, sia in altri soci importanti come la Findim di Marco Fossati, che possiede il cinque per cento del capitale Telecom fuori dalla holding. All’interno di Telco invece sembravano scalpitanti due grandi soci, Sintonia della famiglia Benetton, con Gilberto che si dichiarava anche pronto a uscire se l’investimento non si fosse rivelato sostenibile a fine anno, e soprattutto il socio industriale per eccellenza, la spagnola Telefonica di Cesar Alierta, che all’ingresso pagò 2,8 euro per azione e oggi sta contando una minusvalenza da brividi.
In più, anche gli altri “soccorrittori” di Telecom, dopo l’uscita di Marco Tronchetti Provera e di Pirelli, cominciavano a mettersi a “ragionare” sulla gestione. Sia Generali, sia Mediobanca, sia Intesa San Paolo (che al momento sono già colpite da pesanti ribassi di Borsa) cominciavano a fare i conti con le minusvalenze da mettere a bilancio.
Tuttavia quel periodo sembrava passato, come ancora sembra, per la volontà di puntare e scommettere su una società che appartiene al futuro e che è al centro di un settore che, con tutta probabilità, sarà quello che potrebbe trascinare in futuro il rialzo dei mercati.
Ancora nei giorni scorsi sono arrivate notizie sia sui colloqui e le possibili sinergie di Telecom con Vodafone, sia la conferma della volontà “strategica” della spagnola Telefonica di mantenere il suo investimento in Telecom. In più, fatto per nulla trascurabile, la possibile acquisizione, secondo indiscrezioni, da parte di Telecom della H3G, la società controllata in Italia dal magnate cinese Li Ka Shing, che al momento accuserebbe notevoli perdite.
A questo punto la data del 6 dicembre, giornata in cui Bernabè si è impegnato a rendere noto alla comunità finanziaria il nuovo piano industriale, sembrava un appuntamento fortunato e benedetto per le sorti e il futuro della società.
Non è detto che non lo sia ancora. C’è stata però una precisazione, proprio in queste ore, che viene da Madrid: Telefonica sostiene che non c’è bisogno di nuovi soci. Ed è una precisazione tutta da decifrare. Gli spagnoli hanno più del 40 per cento in Telco e, se uscissero dalla holding, potrebbero contare su un dieci per cento (ma forse anche di più) sull’intero capitale sociale di Telecom. È evidente che di fronte all’ingresso di nuovi soci, si proporrebbe il problema di un aumento del capitale sociale e quindi, forse, di un peso minore degli spagnoli sulla strategia della società. C’è comunque da dire che una clamorosa retromarcia di Telefonica è del tutto impensabile, perché un eventuale ritiro significherebbe un autentico “bagno di sangue” con una perdita valutabile in miliardi di euro.
Probabilmente l’annuncio di Madrid è da interpretare come una trattativa all’interno di Telecom per gli assetti futuri della società. Si capirà in questi giorni, queste due settimane che precedono la riunione del consiglio di amministrazione.
Difficile comunque sfuggire, anche se in tempi di crisi ormai non solo finanziaria, da un rilancio di Telecom dopo un anno di razionalizzazione e di contenimento dei costi. Impossibile aggirare il problema, magari con il concorso del Governo, di una credibile sistemazione della rete e dello sviluppo di nuove sinergie.