Sollecitato da alcuni lettori a un approfondimento sul fatto che “tutta la moneta è debito”, cercherò di documentare tale affermazione con alcuni esempi e con documenti ufficiali delle istituzioni coinvolte.
Occorre iniziare questo discorso con una premessa. Non tutta la moneta è debito, nel senso che vi sono alcuni limitati casi particolari in cui la moneta non è debito. Ma proprio per la limitatezza di questi casi, l’affermazione rimane vera nella sua generalità: tutta la moneta è debito.
Per capire questa affermazione, bisogna prima rendersi conto delle caratteristiche intrinseche dello strumento che chiamiamo “moneta”. Anzi, prima o poi sarà bene per tutti arrivare a una vera e propria definizione, poiché è proprio sulle ambiguità che nascono da una “non definizione” che ha potuto svilupparsi una dottrina e una prassi monetaria che favorisce la speculazione, capace quindi di distruggere il bene comune di un popolo.
Allora, quali sono le caratteristiche intrinseche della moneta? Anzitutto, la prima è quella della circolazione. La moneta è uno strumento che favorisce la circolazione di beni e servizi. Per questo fine, la moneta stessa deve circolare. Se in un determinato ambiente economico vi fosse un eccesso di moneta e la parte eccedente fosse conservata in un cassetto, al fine della circolazione l’utilità della moneta nel cassetto sarebbe pari a zero.
Per poter svolgere adeguatamente la proprietà di circolazione, la moneta deve essere uno strumento utile a misurare una proprietà di tutti gli oggetti, quella proprietà che chiamiamo “valore”. Con la moneta noi affermiamo o stimiamo il valore di ogni oggetto. Ma ogni strumento di misura possiede proprio la qualità che deve misurare: così come il metro, che misura la lunghezza, ha la qualità della lunghezza, anche la moneta, con la quale misuro il valore, ha la qualità del valore.
Quindi, le due caratteristiche fondamentali finora individuate sono: circolazione e valore. Ora iniziamo a verificare un passaggio cruciale nella questione monetaria: la fase della creazione di moneta.
In tale fase, viene creata la moneta nel suo aspetto formale e giuridico, in ciò che permette di qualificarla e di distinguerla (dalle altre monete oppure dai falsi, per esempio), e quindi viene creato il valore della moneta. Ma non essendo ancora in circolazione nel tessuto economico, la moneta ancora non esprime e diffonde il suo valore.
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In tale fase, abbiamo un consumo di materie prime (carta e inchiostro) e abbiamo un prodotto finale con il suo valore intrinseco. Nel caso del biglietto da cinquanta euro, abbiamo un costo iniziale di tre centesimi di euro ed un prodotto finale del valore di cinquanta euro. Un bel business, non trovate? Io lo dico sempre: il modo migliore di fare soldi è quello di stamparseli!
Dove finisce questo valore? Questo valore prodotto viene “nascosto” nei bilanci delle banche centrali. Il prodotto finale, viene posto tra le passività del bilancio. No, non è uno scherzo. Vi propongo qui sotto un’immagine, dettaglio del bilancio della Banca d’Italia del 2008.
Quindi si tratta di oltre 126 miliardi di euro in banconote, che nel bilancio della Banca d’Italia sono tra le passività. Questa situazione, che è contro il buon senso comune, dipende dalle leggi attuali (leggi particolari per la compilazione dei bilanci, valide solo per le banche centrali) e ha una precisa e motivata origine storica.
Infatti, gli antenati delle moderne banche erano facoltosi personaggi i quali, avendo già una attività connessa all’oro (orificeria o altro), svolgevano anche un servizio di custodia dello stesso. Per certificare la proprietà dell’oro, chi lo deteneva riceveva l’oro in custodia e consegnava le cosiddette “note di banco”, antenate delle moderne banconote.
Avendo queste “note di banco”, chi era impegnato nel commercio trovava più comodo girare la propria “nota di banco”, piuttosto che andare a ritirare l’oro fisico. Così, le “note di banco” iniziarono a circolare.
Ben presto chi custodiva l’oro fisico si rese conto che quasi più nessuno andava a ritirarlo, preferendo far circolare le note di banco: allora, di fronte a una richiesta di prestito di oro, tali banchieri iniziarono a produrre “note di banco”, anche oltre la propria disponibilità in oro. La produzione in eccesso delle “note di banco” non avrebbe mai costituito un problema, a meno che improvvisamente non si presentassero tutti insieme a richiedere l’oro, perché questo avrebbe portato a una immediata insolvenza del banchiere.
Ovviamente, nel bilancio del banchiere, l’oro è l’attivo, mentre le “note di banco” sono il passivo. E così questo tipo di contabilità si è mantenuto fino a oggi, con la differenza sostanziale che le banche centrali non ricevono più oro da custodire. Dal nulla producono moneta, che nel bilancio viene posta tra i passivi.
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Da allora, quindi, le banche centrali non regolano più la quantità di moneta in base all’oro posseduto, ma la regolano secondo propri criteri, in funzione di un obiettivo dichiarato. L’obiettivo dichiarato della Bce è il mantenimento di una inflazione prossima e inferiore al 2%. In funzione di questi obiettivi, due sono gli strumenti principali in mano alla Bce: la regolazione della liquidità ed il tasso di interesse per la liquidità richiesta.
In tale contesto, rimane vero che tutte le banconote sono gravate da un debito, pari all’importo delle banconote stesse: anche perché non abbiamo alcun soggetto che distribuisca banconote gratuitamente, nemmeno allo stato.
E questo nonostante il fatto che, secondo la Costituzione Italiana, lo Stato è l’unica Autorità Monetaria costituita. Tanto è vero che è lo Stato a coniare le monetine in euro. E, ovviamente, tale produzione nel bilancio dello stato è messa tra gli attivi, come appare logico che sia. E questo riconferma che mettere nelle passività le banconote prodotte, come fanno le Banche Centrali, è un controsenso.
Ora, proprio per questa capacità di creare moneta dal nulla, le banche centrali soffrono della stessa situazione di rischio in cui si trovavano i loro antenati: il rischio di insolvenza nel caso in cui un numero troppo alto di clienti si presentino a ritirare i propri soldi. Tale livello è oggi molto basso (quindi il rischio è molto alto) perché, secondo le regole che le stesse banche si sono date, possono prestare fino al 98% dei depositi.
“Solo l’8% di ciò che usiamo come denaro è denaro reale – il restate 92% è costituito da promesse di pagamento bancarie private (assegni circolari, attivi di conto corrente, carte di credito e di debito, lettere di credito, ecc.). Quindi quel 92% è scoperto. Il mondo funziona con le promesse di pagamento delle banche. Se le banche saltano, i nostri soldi semplicemente svaniscono e l’economia si ferma.
Le banche stanno saltando perché in realtà sono già tutte decotte: hanno copertura solo per l’uno per mille circa del totale delle loro promesse di pagamento. Assegni circolari, saldi di conto corrente, garanzie bancarie, sono tutti scoperti al 999 per mille. Se ritirassimo solo l’uno per mille dei nostri depositi, il sistema bancario salterebbe. La gente crede di avere i soldi in banca, ma in banca non c’è affatto denaro”. (La moneta copernicana, Nino Galloni e Marco Della Luna, Nexus Edizioni, 2008, pag. 7).
“Quando la Nothern Rock, la Lehman Brothers, etc., sono saltate, si è visto che dentro non avevano soldi. Ma tutte le banche sono così. Sono scatole vuote. Guadagnano denaro dai clienti fingendo di prestare soldi che non hanno e facendosi pagare interessi su questi soldi inesistenti”.(ibidem, pag. 8)
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Voglio subito chiedere scusa a quanti, dopo aver letto queste righe, avessero sentito come un pugno nello stomaco. Ma se da diversi anni spendo le mie energie per diffondere questo tipo di informazioni, non è per far star male la gente, ma per diffondere una speranza.
E la speranza nasce solo da una fede, cioè da una esperienza, da un fatto di cui si fa esperienza, cioè da un fatto di cui si coglie il significato. E io vedo che, nonostante tutte le cose meschine che accadono e che vengono amplificate dai media, tra la gente c’è ormai diffusissima una grande sensibilità che ormai “è tutto sbagliato, è tutto da rifare”. Gente che, animata da un ideale, si rimbocca le maniche. E chissà quanti altri sarebbero pronti a rimboccarsi le maniche, se solo avessero un barlume di speranza.
Voglio dire che la materia prima per rifondare tutto da zero, cioè un popolo, quello c’è davvero. Occorre allora prendere coscienza del momento di crisi profonda che, moralmente e umanamente, la società moderna sta affrontando. E della crisi economica durissima che ci attende. E rimboccarsi le maniche, perché potremmo essere al principio di una rivoluzione epocale, di quelle che rimarranno nei libri di storia.
Per aiutarci in questo, propongo un brano tratto da un libro di un filosofo contemporaneo, che descrive il momento in cui l’impero romano andava in rovina e sembrava che ogni forma di civiltà (come allora era conosciuta) andasse in rovina, e il mondo sembrava dovesse cadere in preda delle popolazioni barbare. Scriveva dunque Alasdair McIntyre, nel descrivere la situazione esistenziale dei cristiani al tempo della caduta dell’impero romano:
“Un punto di svolta decisivo in quella storia più antica si ebbe quando uomini e donne di buona volontà si distolsero dal compito di puntellare l’imperium romano e smisero di identificare la continuazione della civiltà e della comunità morale con la conservazione di tale imperium. Il compito che invece si prefissero (spesso senza rendersi conto pienamente di ciò che stavano facendo) fu la costruzione di nuove forme di comunità entro cui la vita morale potesse essere sostenuta, in modo che sia la civiltà sia la morale avessero la possibilità di sopravvivere all’epoca incipiente di barbarie e di oscurità.
Se la mia interpretazione della nostra situazione morale è esatta, dovremmo concludere che da qualche tempo anche noi abbiamo raggiunto questo punto di svolta. Ciò che conta, in questa fase, è la costruzione di forme locali di comunità al cui interno la civiltà e la vita morale e intellettuale possano essere conservate attraverso i nuovi secoli oscuri che già incombono su di noi.
E se la tradizione delle virtù è stata in grado di sopravvivere agli orrori dell’ultima età oscura, non siamo del tutto privi di fondamenti per la speranza. Questa volta, però, i barbari non aspettano al di là delle frontiere: ci hanno governato per parecchio tempo. Ed è la nostra consapevolezza di questo fatto a costituire parte delle nostre difficoltà. Stiamo aspettando: non Godot, ma un altro San Benedetto, senza dubbio molto diverso”. (Alasdair MacIntyre, «Dopo la virtù», p. 313, Feltrinelli, 1993).
Ormai è il momento di dare una definizione di moneta. E di iniziare a parlare di Moneta Complementare. Cioè di una storia che già sta accadendo, e che solo in pochissimi conoscono. Così, mentre le borse crollano, cercheremo di rimanere in piedi.